Quando si parla di una certa attitudine al dominio
connaturata alla specie umana, si viene accusati di essere misantropi. Non che
ci sia qualcosa di male nell'esserlo, purtuttavia le cose non sono così
semplici e al solito le etichette e le definizioni risultano molto strette.
Cosa vuol dire misantropo? Letteralmente, ossia secondo l'etimologia
originaria, significa colui che odia gli uomini.
Ora mi pare ovvio che parlando di attitudine al dominio e
alla sopraffazione l'odio c'entri come i cavoli a merenda, ma tant'è. Non è
tanto questione di odiare e odiarsi infatti, quanto di prendere atto di alcune
nostre caratteristiche, riconoscerle come proprie, quindi accettarle, per poi
provare a superarle insieme.
Fingere che non ci sia un lato oscuro nella nostra specie di
cui prendere consapevolezza, significa restare per sempre nel cono d’ombra
dello stesso; al contrario, è solo illuminandolo - facendone emergere le
contraddizioni e risaltandone tutto ciò che ci disturba e ferisce il nostro
orgoglio e amor proprio di specie - che potremo iniziare un percorso per
affrancarcene.
Quello che a me pare evidente è che tale predisposizione al
dominio, alla sopraffazione, alla violenza sui più deboli non è solo frutto del
sistema sociale in cui ci si viene a trovare, ma ha radici più profonde che
pertengono proprio alla maniera in cui noi ci siamo evoluti.
Se è vero, come sostengono l'antropologia biologica, la
neurobiologia, la psicologia e altre scienze, che il cervello è plastico e si
modifica col tempo in base alle azioni che ripetiamo - così come i suoi schemi,
dinamiche e meccanismi cognitivi - mi pare ovvio che dopo millenni di
devastazione e conquista del pianeta e dei suoi abitanti, animali umani e non,
abbiamo interiorizzato questa attitudine così tanto da farne una reale
caratteristica della nostra specie.
Ovunque l'uomo ha messo piede nel pianeta ha conquistato,
distrutto, ucciso, modificato, alterato, dominato, violentato, sfruttato,
schiavizzato. Senza risparmiare nulla e nessuno, né i suoi stessi simili appartenenti
alla sua specie, né i nostri fratelli animali appartenenti alle altre, né la
vegetazione, né i mari, né le montagne, nulla, nemmeno l’aria che respira.
Non ha avuto rispetto per nulla. Nemmeno per sé stesso e per
i suoi stessi figli.
Ora, può essere che tutto ciò un tempo sia stato l'effetto
di una qualche organizzazione sociale sbagliata, ma poiché questi effetti si
sono protratti nei secoli, ormai tale vocazione al dominio ci è divenuta
peculiare.
Ma questo non significa che non sia possibile – e proprio
perché il nostro cervello e i nostri comportamenti sono modificabili nel tempo
– fare un passo indietro e riuscire a far emergere e coltivare l’altra
caratteristiche che pure ci appartiene e che è divenuta predominante in molti
di noi: l’empatia. Se non credessi che ciò fosse possibile non sarei qui a
scrivere, non mi impegnerei così tanto nelle tematiche e problematiche connesse
alla liberazione animale. Per questo sostengo che parlare di misantropia sia
fuorviante, non odio la mia specie infatti, solo ne riconosco il terribile lato
oscuro.
Il primo passo da fare quindi è riconoscere che siamo specie
dominatrice e votata alla sopraffazione dei deboli, e lo siamo ormai a
prescindere dal sistema in cui ci veniamo a trovare. Riconoscendo questo, che
non è misantropia, ma accettazione e riflessione su CHI siamo, potremo anche
finalmente cominciare a elaborare una nuova idea di civiltà, quella che Rifkin
chiama “dell’empatia”.