Dopo aver letto un paio di commenti critici relativi alla nascita di Universo Vegano in quel di Roma, mi sento di fare un paio di riflessioni.
Certamente l'insorgere di negozi, ristoranti, pub ecc. vegani rientra nelle dinamiche di mercato e quindi non dobbiamo illuderci che l'aumento della presenza di questi posti significhi un reale progresso per la liberazione animale, tantomeno una vittoria contro il sistema; di fatto tutto attorno continuano ad esserci i soliti tristi luoghi di sfruttamento e morte. Anzi, dirò di più, mi rendo conto che questo proliferare di spazi cruelty-free potrebbe paradossalmente significare che il sistema, dopo aver riconosciuto l'esistenza di una fetta di mercato allettante - ossia noi vegani - stia mettendo in atto la solita opera di assimilazione: detto in altre parole, può essere che il sistema ci stia inglobando e che il nostro rifiuto dei prodotti dello sfruttamento animale anziché rappresentare una minaccia allo stesso sotto forma di boicottaggio, in realtà sia per il mercato una risorsa al pari di tutte le altre. Esso, il mercato, ha riconosciuto dunque che esiste una richiesta in termini di alcuni prodotti e anziché preoccuparsi e spaventarsi perché una minoranza cessa di acquistare quelli derivanti dall’industria dello sfruttamento animale, reagisce e risponde prontamente esaudendo questa nuova domanda.
Come un perfetto sistema immunitario che al primo riconoscere un nuovo virus potenzialmente dannoso, prontamente lo neutralizza, inglobandolo.
Bene, spazzate via queste illusioni, personalmente credo la nascita di luoghi del genere - spazi come Universo Vegano dove è possibile acquistare ottimo cibo cruelty-free e praticamente venire a conoscenza di tutte le alternative possibile e immaginabili alla carne, pesce e derivati animali – sia comunque un evento di cui si può gioire a diverso titolo.
Come sappiamo il cibo e la tradizione culinaria in genere rappresentano uno degli aspetti più importanti e caratterizzanti di ogni cultura; e questo non soltanto perché “il cibo, per sua stessa natura, riveste incredibili valenze simboliche collegate all’esperienza del latte materno” (Annamaria Manzoni) - ma anche perché il nutrirsi rappresenta comunque sempre la soddisfazione di un bisogno primario.
Fare breccia nella cultura specista pure sotto l’aspetto prettamente culinario costituisce per me una mossa vincente e proprio per la grandissima importanza – materiale e simbolica – che appunto il cibo assume nelle nostre esistenze.
Superfluo inoltre ribadire che il grosso dello sfruttamento degli animali è legato proprio alla produzione alimentare; e che è proprio sotto questo profilo che avvengono le maggiori resistenze da parte della popolazione nell’abbracciare uno stile di vita nonviolento e rispettoso della vita animale in genere.
E queste resistenze ci sono non solo perché spesso le persone rimuovono e negano la violenza che di fatto subiscono gli animali cosiddetti da “reddito”, ma anche perché si immaginano, nel dover rinunciare a quegli “alimenti” che la cultura gli ha fatto credere “necessari”, una vita di stenti e privazioni culinarie. Conosco tantissime persone che provano significativi sensi di colpa nel mangiare carne e derivati, ma che esitano a diventare vegani perché non sanno bene a cosa andranno incontro (vero che su internet si trovano tutte le informazioni, ma andare a cercarle richiede comunque un atto di volontà, uno sforzo mentale che talvolta manca).
L’aumento di questi posti permette a una massa altrimenti irraggiungibile di persone (vuoi perché non hanno voglia di documentarsi su internet, vuoi perché magari proprio non hanno mai pensato di farlo in virtù di pregiudizi pesanti) di venire a conoscenza di una maniera diversa di alimentarsi, ugualmente varia e buona, ma senza essere implicata nello sfruttamento e morte degli animali.
Immagino che qualcuno - magari proprio i giovanissimi, i più attratti dalle novità e dall’apertura di spazi alternativi - potrebbe avvicinarsi per curiosità e poi restarne positivamente colpito. E, sempre per quel famoso circolo ermeneutico della comprensione applicato all’animalismo di cui ho già parlato altrove (lo ripropongo qui, per chi sapesse di cosa sto parlando), non mi stupirei se anche un semplice spazio culinario come Universo Vegano potesse diventare un trampolino di lancio per una riflessione più estesa sulle tematiche dello sfruttamento animale.
Insomma, un posto così, per quanto non rappresenti una vittoria, è comunque un luogo che dà visibilità alla nostra lotta, una proposta concreta di quel mondo che tutti insieme ci stiamo adoperando per realizzare: quello in cui nessun essere senziente sarà più fatto a pezzi per finire nei piatti o dentro un panino. E si prospetta comunque come spazio significativo e foriero di effetti tutti a venire.
Poiché tutto sommato è solo in questi ultimi anni che si sta avendo questo aumento esponenziale di luoghi deputati al consumo di prodotti cruelty-free (prima erano perlopiù marginali, non in grado di infiltrarsi realmente nella cultura popolare) non possiamo ancora stabilire se e in che termini essi possano dare un contributo efficace nel diffondere l’etica della nonviolenza.
E, già che ci sono, a proposito di cultura popolare, ho accolto positivamente anche la notizia di un nuovo canale tematico negli USA, nato da un format televisivo sugli zombie vegani, in cui si preparano piatti privi appunto di animali e derivati: chi non lo fa, viene infettato da un virus e si trasforma in zombie. Per stare al sicuro, il rimedio più efficace è appunto imparare a preparare deliziose ricette prive di animali (carino il rovesciamento del mito del morto vivente, il quale può affrancarsi dalla sua condizione appunto rifiutando di mangiare esseri viventi). Non la sbrigherei tanto come una “cretinata” o come la classica “americanata” e per due ragioni: innanzitutto significa che il veganismo sta per entrare nella cultura popolare e quindi presto non sarà più visto come “la scelta estremista di persone appartenenti a una setta”, secondo poi l’accostamento con il mondo della “mostruosità altra degli zombie” racchiude precisi significati metaforici. Gli zombie nell’immaginario collettivo non sono soltanto coloro che si nutrono di carne umana, ma anche, a partire dal famoso cult di Romero “L’alba dei morti viventi” – dove si svela un doppio piano semantico: gli zombie sono i morti viventi che assalgono i vivi, ma anche gli esseri umani che si rifugiano nel centro commerciale, spazio-apoteosi del consumismo, in cui si sentono al sicuro attratti dall’opulenza dei beni materiali e dove, come automi, al pari dei non-morti, si muovono arraffando tutto quel che capita incapaci di compiere vere scelte – ma anche coloro che, appunto, subiscono i desideri indotti dal mercato senza riuscire ad affrancarsene. In questo programma di cucina vegana, chi non cucina senza derivati animali si trasformza in zombie, dunque in colui che non è più in grado di esercitare una scelta compiuta in virtù di una sana e vigile capacità critica e che solo, come un automa, risponde a ciò che il mercato dei consumi e della cultura specista gli propone. Fa riflettere, no?
In conclusione credo che il processo che sta portando la cultura vegana ad essere da controcultura di nicchia a cultura popolare, possa avere indubbiamente i suoi lati positivi.
Ogni rivoluzione non può che coinvolgere anche il popolo e deve necessariamente partire dal basso, altrimenti è imposizione dall’alto.
Piccola nota personale: in fondo io decisi di diventare vegetariana, ormai diversi anni fa (oggi sono vegana) proprio andando a convivere con il mio attuale compagno, che lo era già da tantissimo tempo e perché mi resi conto, vivendoci insieme, che era dunque possibile mangiare senza sfruttare animali. Allora non ero antispecista, amavo gli animali... ma li mangiavo, ossia ero molto confusa... poi da lì ho iniziato il mio percorso e aperto gli occhi sulle dinamiche sistemiche dello sfruttamento animale e sono diventata un'attivista. Ma ho cominciato proprio dal cibo, cambiando maniera di nutrirmi, e ci sono riuscita perché qualcuno mi ha mostrato che era possibile farlo.
Piccola nota personale: in fondo io decisi di diventare vegetariana, ormai diversi anni fa (oggi sono vegana) proprio andando a convivere con il mio attuale compagno, che lo era già da tantissimo tempo e perché mi resi conto, vivendoci insieme, che era dunque possibile mangiare senza sfruttare animali. Allora non ero antispecista, amavo gli animali... ma li mangiavo, ossia ero molto confusa... poi da lì ho iniziato il mio percorso e aperto gli occhi sulle dinamiche sistemiche dello sfruttamento animale e sono diventata un'attivista. Ma ho cominciato proprio dal cibo, cambiando maniera di nutrirmi, e ci sono riuscita perché qualcuno mi ha mostrato che era possibile farlo.
6 commenti:
io sarei felice se un esercizio commerciale del genere fosse anche nella mia città.
Ma infatti Sara, c'è solo che da esserne felici. Peraltro mi confermano che questi panini siano ottimi.Ti farò sapere.
diventare vegani per moda o per timore di ammalarsi di chissà quale male è un po' come allacciarsi le cinture di sicurezza solo per evitare una bella multa. Ma, in fondo, è un bene che ci siano sempre più vegani e che le nostre scelte etiche non vengano più viste come degli estremismi.
E' chiaro che il più squisito dei kebab a base di seitan non potrà far comprendere al prossimo le ragioni dell'antispecismo.
No, certo, però è anche vero che potrebbe essere uno spunto per riflettere, se non altro perché... a pancia piena si pensa meglio. ;-)
PS: son andato all'inaugurazione di U.V. a Verona. Prezzi in linea con quelli dei fast food cucinacadaveri e pietanze davvero squisite.
Il "seitan tonnato" (ovviamente tutto vegan) è da orgasmo.
Ma chi è che ha criticato? Fammeli conosce questi a cui dispiace de poté magnà panini e piadine!
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