Mi dicono che il tg4 ha dedicato un servizio alla morte di Stephanie Forrester, personaggio storico di Beautiful.
Certo stupisce che si dedichino servizi a un evento che appartiene al mondo della finzione.
Pure se questo mescolare la vita con la finzione non è cosa nuova, basti pensare che nella Londra settecentesca, quando morì la celebre eroina del romanzo a puntate di Richardson, Clarissa, tutte le campane della città suonarono a morto e ci furono casi di isteria collettiva.
A volte osservare con disincanto è la cosa migliore da fare. Sospendere il giudizio e osservare, come se tutta la vita che scorre davanti ai nostri occhi fosse nient'altro che un film o romanzo a puntate.
In Tristram Shandy, Sterne non fa mai progredire la vita del protagonista, deviando continuamente la narrazione principale con digressioni, ricordi, pagine vuote, pagine nere, pagine con ghirigori privi di senso (strategemmi grafici nuovissimi per l'epoca), dilatando il momento della nascita fino all'origine del concepimento, conscio che tra il narrare la propria esistenza e il viverla forse non c'è differenza alcuna e che se avesse dilazionato all'infinito anche l'invecchiare e il morire, allora avrebbe sconfitto la morte.
La nostra vita è narrazione. Il narrare e lo scrivere (o il pensare e realizzare un film, dipingere una tela) sono apotropaici.
Le fiction odierne sono brutte narrazioni, svilite, sciatte, ma comunque vite anch'esse che si compenetrano con le nostre, dandoci l'illusione di allungarle.
Così forse non deve stupire che i tg dedichino un servizio alla morte di un personaggio, essendo la sua morte, anche un po' la nostra.
Certo stupisce che si dedichino servizi a un evento che appartiene al mondo della finzione.
Pure se questo mescolare la vita con la finzione non è cosa nuova, basti pensare che nella Londra settecentesca, quando morì la celebre eroina del romanzo a puntate di Richardson, Clarissa, tutte le campane della città suonarono a morto e ci furono casi di isteria collettiva.
A volte osservare con disincanto è la cosa migliore da fare. Sospendere il giudizio e osservare, come se tutta la vita che scorre davanti ai nostri occhi fosse nient'altro che un film o romanzo a puntate.
In Tristram Shandy, Sterne non fa mai progredire la vita del protagonista, deviando continuamente la narrazione principale con digressioni, ricordi, pagine vuote, pagine nere, pagine con ghirigori privi di senso (strategemmi grafici nuovissimi per l'epoca), dilatando il momento della nascita fino all'origine del concepimento, conscio che tra il narrare la propria esistenza e il viverla forse non c'è differenza alcuna e che se avesse dilazionato all'infinito anche l'invecchiare e il morire, allora avrebbe sconfitto la morte.
La nostra vita è narrazione. Il narrare e lo scrivere (o il pensare e realizzare un film, dipingere una tela) sono apotropaici.
Le fiction odierne sono brutte narrazioni, svilite, sciatte, ma comunque vite anch'esse che si compenetrano con le nostre, dandoci l'illusione di allungarle.
Così forse non deve stupire che i tg dedichino un servizio alla morte di un personaggio, essendo la sua morte, anche un po' la nostra.
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