Oggi riflettevo su quanto l’uso sempre più pervasivo che
facciamo della tecnologia ci stia modificando le funzioni cognitive della
mente. Rapportarci continuamente alle macchine indubbiamente dà luogo a una
mutazione del cervello, non in senso strettamento biologico, non ancora almeno,
ma sicuramente per ciò che concerne le sue funzioni e gli schemi cognitivi. Del
resto siamo già oltre l’umano, viviamo con gli auricolari perennemente inseriti
nelle orecchie, facciamo degli iPad e smartphone vari, estensioni dei nostri
arti superiori e orizzonti visivi. Osservando le persone in strada è facile
rendersi conto di come esse abbiano accesso a una costante duplice visione
della realtà, quella che si sta svolgendo concretamente attorno a loro – e di
cui a volte non sembrano nemmeno rendersene pienamente conto – e quella che si
materializza virtualmente sugli schermi dei loro telefoni. Le persone sono
materialmente sedute sugli autobus, ma interiormente sono proiettate quasi
costantemente dentro un secondo universo parallelo, che è il virtuale
visualizzato sugli schermi dei loro apparecchi. È in atto inoltre
un’autorappresentazione dei singoli che è la maniera in cui scelgono di darsi
nel virtuale.
Tutto
ciò modifica inesorabilmente le funzioni mentali e procede nel costituire
un’interiorizzazione del reale certamente diversa da quella che avevano i
nostri antenati.
Questo
è un discorso che certamente meriterebbe ben altri approfondimenti, ma qui ho
voluto piuttosto usarlo come prologo ad introdurre una riflessione di ben altro
tipo, quella sul veganismo, in analogia con quanto detto sopra proprio sul
piano della modificazione delle nostre funzioni cerebrali e quindi dell’intera
cornice cognitiva.
Penso
a quanto l’essere diventata dapprima vegetariana e poi vegana abbia modificato
nel tempo la mia percezione del reale, al pari di quanto possa averlo fatto ad
esempio l’uso del pc e l’invadenza della tecnologia in genere.
Quando
giorni fa parlavo dell’opportunità, se proprio non vogliamo dire necessità, per
un antispecista di divenire vegano non mi riferivo infatti tanto al discorso
della coerenza, né a una fantomatica purezza o atteggiamento di superiorità
morale con tanto di condanna verso quanti ancora non lo sono, quanto piuttosto
a questo graduale e progressivo processo che è la conquista dell’arrivare a
vedere l’animale come effettivamente l’altro senziente che è e mai più come
cibo o indumento vestiario. L’interiorizzazione di questa nuova consapevolezza
non è un atto immediato, tuttavia: possono volerci anni, sebbene non è detto
che sia sempre così.
Quello
che intendo semplicemente dire è che diventare vegani, smettere di mangiare
animali, è sicuramente qualcosa di molto più complesso del mettere in atto una
coerenza con quanto si professa a parole: è l’inizio di un atto costitutivo che
ci muove a un nuovo e diverso sguardo sul reale.
Non
mi interessa qui entrare nel discorso della sua efficacia o meno come mezzo di
boicottaggio finalizzato ad abolire i macelli, non mi interessa nemmeno stare a
calcolare se e quante vite animali il diventare vegani potrà salvare (non che
non mi interessi in assoluto, dico relativamente a questa mia breve
riflessione); quello che mi interessa è la considerazione del veganismo nel suo
darsi come processo di lenta trasformazione del nostro sguardo sul reale. In
questo senso esso è tra gli atti più rivoluzionari che un individuo possa
compiere nella propria esistenza. E rivoluzionario perché esso rivoluziona la
maniera di vedere le cose, nonché la percezione e considerazione che abbiamo
degli animali e del resto dei viventi. E la rivoluziona perché fintanto che noi
nelle vetrine dei negozi continueremo a vedere solo capi di vestiario e non
quel che resta di un animale straziato a morte, non ci interrogheremo mai
nemmeno a fondo sui meccanismi politici, sociali e culturali che consentono e
legittimano questo stato di cose.
Non
si diventa vegani per cambiare il mondo; bensì è il mondo che cambia – o
meglio, la percezione che abbiamo di esso – nel momento in cui si diventa
vegani. Diventarlo presuppone certamente un grande atto di volontà che è
principalmente e preliminarmente intellettuale e che solo in un secondo tempo
spalancherà anche i canali del sentimento.
Non
si è vegani perché si è sentimentali, si diventa sentimentali – ossia pieni di
sentimento di rispetto ed empatia nei confronti di tutti gli esseri senzienti –
nel momento in cui si smette di vederli e percepirli come cibo.
Senza
questo nuovo sguardo sul reale, la liberazione animale continua a rimanere
svuotata della sua essenza.
Senza
questo nuovo sguardo che realmente, empaticamente incontra lo sguardo
dell’altro animale, la liberazione animale non ha inizio dentro di noi e se un
qualcosa non ha prima inizio dentro di noi, difficilmente potrà attuarsi
all’esterno.
Pubblicato anche su Asinus Novus.
Pubblicato anche su Asinus Novus.
6 commenti:
Circa dieci anni fa un mio amico mi raccontò di aver assistito alla morte di un gattino, investito da un'automobile. Ricordo che risi divertito, come un imbecille.
Oggi, prima di lavare il pavimento verifico che non ci siano formichine in giro. Nel caso, le raccolgo con attenzione e le accompagno in giardino. Sono una persona totalmente diversa e provo spesso vergogna per quello che ero. Semplicemente, c'è stato chi con tatto e discrezione mi ha informato e sensibilizzato sul tema del rispetto per ogni forma di vita. Credo che ognuno di noi possa cambiare. Il punto è esser disposti all'ascolto e mettere in gioco le proprie certezze, molto spesso muri quasi invalicabili di difesa che erigiamo sentendoci insicuri, temendo che il nostro sistema di valori venga stravolto.
Ieri sera, per sbaglio, per mera disattenzione, ho pestato un piccolo scarafaggino tornando a casa, dopo aver trascorso peraltro una bella serata, tutta all'insegna dell'antispecismo, con amici vegan.
Mi sono sentita morire, mi sarei ammazzata io stessa. Ho provato un senso di colpa devastante.
Povera creatura.
Io anche sto attenta a non uccidere le formiche o altri insettini quando lavo i pavimenti. Purtroppo siamo così mastodontici, rispetto a loro, che come ci muoviamo distruggiamo vita, anche non volendo. E questo è un problema irresolvibile. Il problema ontologico del male, direbbe qualcuno.
Io invece tornando a casa ieri sera, ho visto due animaletti in mezzo alla strada (che in quel tratto è anche stretta), ma sono riuscito prontamente a schivarli. Sembravano due ricci o comunque di una dimensione simile. 500m dopo ho fatto inversione e sono tornato indietro per vedere che tutto fosse a posto, invece giunto nel punto incriminato ho trovato un ratto grigio steso per terra con il sangue che gli era uscito dalla bocca. Il corpo pareva intatto ma sicuramente aveva preso un colpo fatale in testa da una macchina che era passata appena prima di me. A quel punto ho capito che l'altro animaletto che avevo visto doveva sicuramente essere un suo amico che tentava di spostarlo dalla strada per non vederlo dilaniato da altre macchine.
Ho preso un asciugamano che avevo in macchina e l'ho spostato dal centro della strada al ciglio erboso. E' la prima volta che mi succede di dover spostare un ratto morto, l'anno scorso mi era capitato con un gatto.
Mi domando poi come la gente solo a sentire la parola ratto si metta le mani nei capelli e urli, neanche la obligassi ad andare dal dentista senza anestesia. I roditori sono oggettivamente belli esteticamente, hanno un musino davvero simpatico.
Ciao Emanuele,
credo che ci siano ragioni culturali per cui la gente provi ribrezzo per i ratti: in passato sono stati veicolo della peste (tramite le pulci) e poiché vivono nelle fogne rimandano a un'idea di sporco ecc., anche se in effetti le fogne sono, a tutti gli effetti, un prodotto della civiltà umana.
Io li trovo adorabili, come tutti gli animali del resto. ;-)
Grazie per il tuo gesto di gentilezza verso il corpicino del povero ratto investito. Chissà, l'altro magari era la sua compagna o il suo compagno... che tristezza. :-(
Ciao ancora,
purtroppo devo aggiornare questa serie di commenti, martedì stavo andando in ufficio quando sulla strada principale (dove si va forte) c'era un cane morto in mezzo alla strada. Ancora una volta sono dovuto tornare indietro per spostarlo. Era un cane di taglia piccola (fai conto appena più pesante di un gatto, forse 6-7kg), ma la scena era veramente da film horror: avvicinandomi non riuscivo a capire se l'avessero decapitato oppure no, quando sono stato proprio vicino ho visto che la testa era totalmente fracassata e oltre a una grossa pozza di sangue c'era anche molta materia cerebrale. In qualche modo sono riuscito a spostarlo con l'aiuto di uno straccio che mia mamma aveva messo in macchina. :(
:-(
Che tristezza.
In estate le morti aumentano perché gli animali si muovono di più, anche ai fini dell'accoppiamento.
La colpa, as usual, è dell'uomo che lascia diffondere il randagismo abbandonando i cuccioli.
Non sai qui a Roma le mie amiche attiviste quanti ne trovano, cani e gatti gettati nei sacchi della spazzatura, lasciati dentro scatoloni, a soli pochi giorni dalla nascita. Alcuni sopravvivono, poi vengono dati in adozione, ma tantissimi altri muoiono.
Grazie per il tuo gesto, almeno da morto quell'esserino ha avuto l'attenzione che ognuno meriterebbe.
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