"Succede
che si compiano atti di violenza senza nemmeno essere consapevoli che
si sta contravvenendo al proprio codice etico. Questo succede perché la
violenza non è solo quella, facilmente riconoscibile e stigmatizzabile,
che proviene dall'azione di impulsi sfuggiti al controllo della
coscienza, non è solo espressione di psicopatologia, ma più comunemente è
frutto del pensiero lucido, dell'interpretazione
che si dà dei fatti; spesso commettere violenza è un comportamento
indotto dal ruolo che si ricopre. (...). Allo stesso modo uccidere,
vivisezionare, macellare gli animali sono azioni che avvengono
nell'ambito di una totale regolamentazione, all'interno della
legittimazione sociale e quindi con la conservazione di positivo
rapporto della realtà circostante, rapporto che anzi si ammanta di
maggior prestigio quando la propria identità viene sancita e
riconosciuta.
Così per esempio lo studente o il ricercatore che taglia, ustiona, acceca un gatto ridotto all'impotenza non vede se stesso come un sadico nell'esercizio delle sue più esecrabili performance, ma attraverso il suo ruolo pubblico, quello di una persona che esegue un lavoro rispettabilissimo: pertanto, grazie a un meccanismo di disattivazione selettiva della coscienza, è legittimato a non provare senso di colpa alcuno, nessuna vergogna, addirittura nessuna pena l'animale: di lui percepisce solo l'aspetto di cavia, mentre tutte le sue caratteristiche di essere vivente, senziente e sofferente vengono relegate nell'area di non percezione, chiusa alla coscienza"
(da "Noi abbiamo un sogno" di Annamaria Manzoni)
Così per esempio lo studente o il ricercatore che taglia, ustiona, acceca un gatto ridotto all'impotenza non vede se stesso come un sadico nell'esercizio delle sue più esecrabili performance, ma attraverso il suo ruolo pubblico, quello di una persona che esegue un lavoro rispettabilissimo: pertanto, grazie a un meccanismo di disattivazione selettiva della coscienza, è legittimato a non provare senso di colpa alcuno, nessuna vergogna, addirittura nessuna pena l'animale: di lui percepisce solo l'aspetto di cavia, mentre tutte le sue caratteristiche di essere vivente, senziente e sofferente vengono relegate nell'area di non percezione, chiusa alla coscienza"
(da "Noi abbiamo un sogno" di Annamaria Manzoni)
Quasi
tutti gli orrori compiuti nei confronti degli animali sono possibili
anche, anzi, io direi soprattutto, perché il singolo è
deresponsabilizzato per tutta una serie di motivi.
Veicolare l'ulteriore messaggio che tutto sia imputabile soltanto al sistema e che diventare vegani non servirà a nulla è, a mio avviso, pericolosissimo, in quanto esonera ulteriormente il singolo dalle proprie responsabilità e gli impedisce l'accesso a una piena consapevolezza persino di come questo sistema funzioni. Se è indubbio che sia il sistema a creare una distanza spesso incolmabile tra le proprie azioni e gli effetti che ne scaturiscono, se è vero che il cosiddetto "male freddo" impedisce di cogliere la portata della tragedia dell'inferno cui condanniamo miliardi di animali al minuto, altrettanto vero è che il singolo avrà interesse nel voler comprendere i meccanismi del sistema solo e nella misura in cui se ne sentirà adeguatamente coinvolto e in cui sentirà di poter partecipare in prima persona allo smantellamento di ciò che gli appare come ingiusto. Altrimenti siamo al disfattismo e qualunquismo.
Affermare che diventare vegani sia inutile, che le piccole scelte di ogni giorno non contino, ché tanto prima si dovrà decostruire il sistema, darà al singolo la sensazione di enorme impotenza e lo deresponsabilizzerà ulteriormente, facendo sì che veramente tutto resti così com'è.
L'impegno delle minoranze può fare la differenza solo a patto che ci sia piena consapevolezza e assunzione non solo della propria responsabilità, ma anche della possibilità di attuare un cambiamento.
Ripetere continuamente "la colpa è del sistema", "i singoli sono presi nel sistema e quindi l'individuo non ha responsabilità" è come dire "il mondo va così, è sempre andato così".
Invece serve consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Non moralismo, ma impegno. Che è cosa ben diversa.
Non colpevolizzare, ma rendere responsabili e consapevoli, che è cosa ben diversa.
Veicolare l'ulteriore messaggio che tutto sia imputabile soltanto al sistema e che diventare vegani non servirà a nulla è, a mio avviso, pericolosissimo, in quanto esonera ulteriormente il singolo dalle proprie responsabilità e gli impedisce l'accesso a una piena consapevolezza persino di come questo sistema funzioni. Se è indubbio che sia il sistema a creare una distanza spesso incolmabile tra le proprie azioni e gli effetti che ne scaturiscono, se è vero che il cosiddetto "male freddo" impedisce di cogliere la portata della tragedia dell'inferno cui condanniamo miliardi di animali al minuto, altrettanto vero è che il singolo avrà interesse nel voler comprendere i meccanismi del sistema solo e nella misura in cui se ne sentirà adeguatamente coinvolto e in cui sentirà di poter partecipare in prima persona allo smantellamento di ciò che gli appare come ingiusto. Altrimenti siamo al disfattismo e qualunquismo.
Affermare che diventare vegani sia inutile, che le piccole scelte di ogni giorno non contino, ché tanto prima si dovrà decostruire il sistema, darà al singolo la sensazione di enorme impotenza e lo deresponsabilizzerà ulteriormente, facendo sì che veramente tutto resti così com'è.
L'impegno delle minoranze può fare la differenza solo a patto che ci sia piena consapevolezza e assunzione non solo della propria responsabilità, ma anche della possibilità di attuare un cambiamento.
Ripetere continuamente "la colpa è del sistema", "i singoli sono presi nel sistema e quindi l'individuo non ha responsabilità" è come dire "il mondo va così, è sempre andato così".
Invece serve consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Non moralismo, ma impegno. Che è cosa ben diversa.
Non colpevolizzare, ma rendere responsabili e consapevoli, che è cosa ben diversa.
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