Ho il piacere di condividere con voi un racconto bellissimo che mi ha mandato l'amico di blog Alessandro.
Buona lettura!
Nel
2008, verso la fine di ottobre, decisi di spostarmi nel Nord Italia per cercare
un nuovo lavoro. Approfittando dell'appoggio di mia sorella, mi trasferii da
lei. Condividevamo una camera che si affacciava su un giardino, e dopo qualche
giorno feci un incontro destinato a stravolgermi vita e abitudini. :)
Una
gatta soriana di piccola statura, spaventatissima da ogni essere umano, che
passava davanti alla nostra camera una volta al giorno, e scappava via non
appena intravedeva movimenti da parte nostra, persino con la finestra chiusa.
Non
avevo mai avuto gatti, ma iniziai a lasciarle del cibo ogni giorno, e ad
avvicinarmi gradualmente a lei. Dopo qualche settimana riuscii a passarle la
ciotolina aprendo la finestra di qualche centimetro senza che lei scappasse.
Rimanevo poi immobile aspettando che finisse. Dopo tre mesi, tre luuuunghi mesi
di croccantini, appostamenti e fughe, una mattina la micia finì di mangiare e
decise di ricompensarmi dandomi delle capocciatine sulla mano. Le feci le prime
carezze, beccandomi anche le prime zampate. Non era evidentemente abituata al
contatto con l'uomo, e dovevo muovermi pianissimo per non spaventarla. Io e mia
sorella (che, terrorizzata dai gatti, non voleva che lei entrasse in camera) ci
chiedevamo se la micia avesse una casa o se fosse una gatta di strada. I miei
dubbi si sciolsero l'indomani: dopo una notte di pioggia, al risveglio alzai la
serranda e lei era fuori ad aspettarmi, riparandosi alla meno peggio sotto una
pianta, e completamente fradicia. Faceva un freddo cane. Indossai un maglione,
uscii a sedermi su un gradino e lei mi salii sulle gambe, addormentandosi
mentre cercavo di coprirla.
Nel
pomeriggio corsi a comprare una cesta e una copertina, che sistemai in
giardino, accanto alla nostra finestra. La micia gradì molto e, da quel
momento, capì di avere una nuova famiglia.
Non
potendo lasciarla entrare in camera come avrei voluto, uscivo in giardino non
appena veniva a chiamarmi, arrampicandosi sulla finestra e miagolando in un
modo stranissimo.
Aveva
una vocina flebile, che emetteva una sorta di "miiiiio" appena
percepibile. Decisi di chiamarla "Miagolina" :D
Trascorsero
i mesi, l'estate si avvicinava e mia sorella, supplente, sarebbe tornata a Bari
alla fine dell'anno scolastico. Il mio conto corrente andava ormai
prosciugandosi e, a parte collaborazioni occasionali, non ero riuscito a
trovare un lavoro. A malincuore, nell'impossibilità di restare a Verona, decisi
di cercare un'adozione per Miagolina.
Dopo
una lunga ricerca, si fece avanti una ragazza. Viveva con un gattone grigio, un
bel certosino, in un appartamento al piano rialzato, che si affacciava su un
giardino. Tristissimo, una domenica misi la micia in un trasportino e la portai
in quella che sarebbe stata la sua nuova casa.
Piangevo,
non riuscivo nemmeno a parlare. Sedetti e liberai la piccola in casa, chiedendo
alla ragazza di non farla uscire prima che si fosse del tutto ambientata.
Miagolina, ovviamente, non si fece avvicinare dall'estranea.
Il
mattino seguente - stavo già preparando le valige - la ragazza mi chiamò. Mi
disse che sarebbe stata costretta a liberare anzitempo Miagolina, in quanto si
azzuffava con il suo gatto e forse in un territorio neutrale avrebbero avuto
modo di tranquillizzarsi.
Non
molto convinto, le chiesi di aspettare il mio arrivo per farlo. Una volta lì,
vidi Miagolina gironzolare in giardino, esplorare il nuovo territorio. Dopo una
mezz'oretta di preoccupazione, dovuta al fatto che l'avevo persa di vista, lei
tornò e tornò con me nella nuova casa, seguendomi addirittura per le scale.
La
salutai, e tornai in quella che, qualche giorno dopo, non sarebbe più stata la
mia camera.
Il
giorno seguente, in tarda mattinata, telefonai alla ragazza per chiederle se
era tutto a posto. Mi rispose che aveva fatto uscire Miagolina, e che si era
allontanata senza fare ritorno.
Preoccupato,
mi recai nelle vicinanze del suo appartamento ed esplorai tutto il quartiere.
Niente da fare, la gattina era scomparsa. Ero nel panico, avevo poco tempo per
ritrovarla e mi sentivo in colpa per averle stravolto la vita, averla strappata
via dal posto dove era nata e cresciuta mettendone a repentaglio la vita.
Sentivo di averla tradita e soffrivo tantissimo.
Passarono
tre giorni e tre notti. Insonne, in quanto il dormire era diventato, ai miei
occhi, una perdita di tempo, uscivo persino a notte fonda per cercarla,
chiamandola per le vie e nei campi. Sapevo di essere l'unico a poterla
avvicinare, e questa enorme responsabilità gravava su un morale già a pezzi. Un
pomeriggio - mancavano ormai un paio di giorni alla fine del contratto di
affitto, dunque ero davvero sul piede di partenza - mi inoltrai in un campo
incolto. C'erano quasi quaranta gradi, ed è difficile spiegare come fossi
ridotto. A un certo punto, dopo l'ennesimo richiamo, sentii un debolissimo
miagolìo. Continuai a chiamare, timoroso di essermi illuso, o che dalle
sterpaglie venisse fuori uno dei tantissimi gatti presenti nella zona. E
invece, dopo qualche esitazione, venne fuori proprio lei! L'avevo trovata, e
anche lì lacrimoni, stavolta di gioia. Era visibilmente sfinita, disidratata.
Si trascinava e appena riuscì ad avvicinarmi si lasciò letteralmente cadere su
un fianco. La riportai nel giardino davanti alla mia camera.
Dopo
aver mangiato e bevuto abbondantemente, si concesse un sonnellino ristoratore.
Nel giro di poche ore tornò la gattina che avevo conosciuto, vispa e coccolona.
Ma ora
che Miagolina era di nuovo lì, mi trovavo davanti a una scelta difficilissima.
Non avrei potuto portarla con me a Bari, in quanto i miei vivono in un
condominio che sarebbe una prigione per un animale abituato alla vita
all'aperto. Ma non mi andava neanche di abbandonarla al suo destino, proprio
ora che aveva scoperto cosa fosse una carezza, cosa significasse vivere senza
la preoccupazione di cercare una preda da mangiare. Soprattutto, avevo il
timore (tutt'altro che infondato) che, avvicinandosi alla mia camera come era
ormai abituata a fare, potesse trovare qualcuno capace di farle del male.
Stavo
malissimo all'idea di dovermi separare comunque da lei. Una cara amica di
nome Graziella mi suggerì di portarla in un rifugio per animali di sua
conoscenza. Si trovava a circa mezz'ora da dove abitavo.
Trascorsi
l'ultima notte in giardino, con Miagolina sulle gambe. Inutile descrivere il
mio stato d'animo in quelle ore.
Il
giorno successivo, nel primo pomeriggio, Graziella venne da me per portare me e
la gattina al rifugio. Dovetti nascondere mezza compressa di sedativo nella
pappa di Miagolina, per evitare che il viaggio fosse troppo traumatico per lei.
Fu straziante vederla barcollare e chiedermi con lo sguardo di starle accanto.
La lasciammo entrare in camera. Si stese sul letto, e quando cercavo di alzarmi
per andare incontro alla mia amica, che mi aspettava nel parcheggio adiacente
al giardino, cercava di seguirmi ma finiva per cadere.
Mi
sentivo impazzire. Restai accanto a Miagolina, mia sorella andò incontro a
Graziella per poi accompagnarla in camera. Non ebbi le forze per prendere la
micia, vidi Graziella sollevarla e infilarla nel suo trasportino. Miagolii
lamentosi e spaventati sembravano implorarmi di liberarla, e io mi sentivo
morire dentro.
Poco
dopo eravamo a Isola della Scala, affidai Miagolina alla volontaria del rifugio
e le ricordai che l'avrei mantenuta in regime di pensione in quanto sarei
tornato, un giorno, a riprenderla.
Non
troverò mai aggettivi adatti a rendere l'idea dello strazio che provavo.
Qualche ora dopo ero in treno, Verona si allontanava e, con essa, anche un
affetto importantissimo per me.
Trascorsero
settimane, poi l'intera estate. Una volta a settimana telefonavo al rifugio
chiedendo come stesse Miagolina. Mi mancava terribilmente, addirittura più di
quanto mi fosse mancata la mia famiglia nei mesi in cui ero stato lontano da
casa.
Ma la
mia serenità era destinata a durare ben poco. Non riuscendo per diversi giorni
a contattare la proprietaria della struttura, venni poi a sapere che Miagolina
era riuscita a fuggire e che da circa un mese nessuno l'aveva più vista. Erano
i primi giorni di ottobre 2009, senza esitare preparai i bagagli e partii per
Verona.
Durante
il lungo e straziante viaggio, durato un'intera notte, pensavo e ripensavo ai
momenti in cui veniva a trovarmi, alle foto che ci ritraevano insieme,
all'affetto che riusciva a darmi quell'esserino dal passato ignoto. Stavo male.
Non
avevo un'auto, mi toccava andare al rifugio al mattino e tornare con dei
volontari quasi a mezzanotte. Passavo intere giornate vagando per i campi,
chiamando Miagolina, agitando un sacchetto con dei croccantini. Nulla. Al
tramonto calava una fitta foschia, e in qualunque direzione mi voltassi vedevo
solo buio e nebbia. Sentivo un freddo molto più profondo di quello dovuto alle
temperature, già rigide, di quei giorni.
Di
tanto in tanto tornavo nel capannone in cui era stata portata Miagolina i primi
giorni. Mi sentivo in colpa, non accarezzavo i tanti, splendidi gatti che mi si
avvicinavano. Li evitavo perché volevo che Miagolina sentisse ancora il suo
odore sulle mie mani quando l'avrei ritrovata, capisse che ero lì solo per lei.
Trascorsero
i giorni. Io, sempre più disperato e fuori di me, sentivo di essere colpevole
per tutto ciò che era accaduto. Provavo un astio profondo verso me stesso e mi
sentivo vuoto. La mia (ex) ragazza e la mia amica Graziella cercavano di
tirarmi su e di darmi consigli. E io ero schiacciato tra la voglia di lasciarmi
andare e il pensiero di quegli occhioni innocenti smarriti chissà dove, in quel
gelo.
Mi
chiedevo se avesse trovato un riparo, se qualcuno la stesse nutrendo. Mi
chiedevo anche se potesse esser stata investita da qualcuno.
La
sensazione più brutta era causata dal non sapere. Non sapere se fosse viva o
meno, non sapere se fosse rimasta incastrata in una trappola, se fosse caduta
in un pozzo. Non sapere se potesse essere ferita, e se col suo debolissimo
miagolio mi stesse chiamando mentre, inconsapevole, passavo accanto al
cespuglio sotto il quale si era rintanata.
Non
sapevo più dove cercare, e dopo sette giorni di ricerca continua ero stremato.
Una mattina, Graziella venne a trovarmi con l'intenzione di darmi una mano
nella ricerca. Passeggiammo su un sentiero sterrato, sino a giungere nelle
vicinanze di un vecchio capannone adibito ad allevamento di tacchini. Chiamai
ancora. Non era la prima volta che esploravo quella zona, ma in quell'occasione
ebbi una strana sensazione, cosicché decisi che nei giorni successivi sarei
passato ancora da li.
La
mattina successiva, infatti, tornai in quella zona. Chiamai a gran voce
Miagolina, invano. Giunto alla fine del sentiero, mi fermai per accendere una
sigaretta. "Giuro che se la ritrovo smetto di fumare" - dissi tra me
e me. Stavo per tornare verso il rifugio, ma provai ancora la strana sensazione
che avevo avvertito il giorno precedente. Mi voltai nuovamente e proseguii il
cammino, attraversando un terreno agricolo.
Mi
ritrovai davanti un container, qualche rottame e delle piante. Degli abiti
appesi ad un fil di ferro lasciavano presupporre che qualcuno avesse vissuto, o
vivesse ancora li. Chiamai ancora la gattina. Sentii un miagolio. Incredulo,
chiamai ancora e dopo qualche istante vidi la mia piccola corrermi incontro.
Ero
emozionatissimo, tirai fuori dal marsupio della pappa e gliela versai. Lei non
smetteva di miagolare, persino mentre mangiava. Aveva di nuovo il manto
invernale, mentre quando l'avevo salutata il suo pelo era cortissimo e sembrava
ancor più piccola di quanto i suoi tre chili e quattrocento grammi di peso
potessero indicare. Telefonai a Graziella, non ricordo esattamente cosa le
dissi, piangevo, ridevo come un ebete e balbettavo per l'emozione. Subito dopo,
chiamai la volontaria del rifugio, chiedendole di venirmi incontro con una
gabbietta. Accartocciai il pacchetto di sigarette, che non era nemmeno vuoto.
Da quel giorno non ho più fumato.
Quella
sera il mio ritorno a casa non fu triste come i precedenti. Liberai di nuovo
Miagolina nel suo giardino, e lei prima di farsi un meritato giretto trascorse
molto tempo sulle mie gambe, continuando a miagolare senza fermarsi un secondo.
Son certo che mi stava raccontando, a modo suo, tutto ciò che le era successo
in quei mesi. Sembrava felicissima.
Rimasi
a Verona, intenzionato a non separarmi più da Miagolina. Finalmente, riuscii a
trovare un lavoro, seppur part time, che mi consente ancora oggi di starle
accanto.
Io e la
gattina ci siamo trasferiti lo scorso luglio in un appartamento che oggi
condivido con la mia compagna e altre due persone. Sta benone e si fa voler
bene da tutti.
A quasi
quattro anni dal mio trasferimento a Verona mi rendo conto di quanto possa
sembrare assurda questa storia.
"Ma
come, ti sei trasferito per stare con un gatto?"
Ebbene
sì. Chiamate pure la neuro!
Vi
presento Miagolina, la micia a cui appartengo. Quando siamo insieme
dimentichiamo di appartenere a due specie viventi differenti e lei non mi fa
(quasi) mai pesare il fatto che sono soltanto un umano.
di Alessandro Cassano
20 commenti:
ho le lacrime agli occhi...
che meravigliosa storia finita bene... un caro saluto
val
:')
Una vera storia d'amore :-)
Ciao Val,
un caro saluto a te. :-)
E anche a Rò e Martigot ovviamente. :-)
Avete visto che bella Miagolina?
E penso che quello che ha fatto Alessandro per ricongiungersi a lei lo avrebbero fatto in pochi, forse nessuno.
grazie per aver pubblicato la mia storia :)
Leggere il "diario" di quelle vicessitudini mi emoziona ancora. E' difficile spiegare con le parole l'angoscia di quei sette lunghi giorni passati in giro per i campi con la consapevolezza di aver stravolto la vita di un esserino che si era legato tantissimo a te.
anche la mia mi da' le capocciatine sulla mano...
bellissimo racconto, da far venire i lucciconi agli occhi. Eppure per lavoro ( sono veterinario) dovrei essere abituato a quanto sono straordinari gli animali . Solo chi non ha mai vissuto con loro non sa quanto ci possono insegnare e quanto si fanno amare.
Una bellissima storia, Alessandro!
Io e gli animali abbiamo un rapporto molto particolare e stretto e quindi capisco benissimo tutte le sensazioni che hai descritto in questo post. Auguro a te e a Miagolina una serena e lunga vita insieme.
Grazie a te Alessandro per aver condiviso questa bellissima storia. :-)
Una carezzina a Miagolina.
@ luoghinonluoghi
Pure a me danno sempre le capocciatine, li adoro quando fanno così.
@ bradipo
Bel lavoro. Spero che tu possa curare e salvare più animaletti possibili. :-)
@ Romina
In fondo siamo animali anche noi, pure se spesso tendiamo a dimenticarlo. ;-)
Hai fatto bene a restare lì per la gatta. Te ne saresti pentito, se avessi agito diversamente, e chissà che fine avrebbe fatto lei.
Dovremmo ricordarcelo più spesso. Gli animali hanno molto da insegnarci, solo che noi fingiamo di essere superiori.
Bel raccounto lo farei leggere a quanti però fanno distinzione tra gli animali, certo non puoi tenere un vitello in casa ma non per questo uno deve stare uno in salotto e l'altro deve andare al macello.
Bella storia.
grazie :)
Nel tuo racconto hai condensato i sentimenti di un vero amante dei gatti: chi lo è davvero capisce e condivide! Bravo, ben fatto!
E' una storia stupenda per come finisce. Complimenti perché non hai mai perso la speranza e non ti sei mai arreso.
Le persone devono imparare da te, imparare che questi esserini pelosi meritano amore e sanno a loro volta amare.
Grazie a tutti per i commenti positivi e gli auguri che mi avete rivolto. Non mi ritengo una persona speciale, ho avuto la fortuna di conoscere quanto amore possano dare gli animali e da allora la mia vita è cambiata in meglio. Anni fa ero totalmente indifferente alla questione animalista. Oggi, grazie a esperienze che mi hanno aperto gli occhi su quanto sia bello il rapporto che può instaurarsi tra uomo e animale, posso definirmi una persona migliore rispetto a quella che ero.
Lo scambio d'amore fra essere umano e l'animale rende l'essere umano degno di tale nome e senz'altro lo mette in comunicazione con la felicità e può con essa dialogare. Chi è egoista e non è capace di amare gli animali e rispettare la vita in generale non ha accesso alla felicità vera ma solo, eventualmente ad una forma fittizia di questa.
Mi raccomando però, come ben ha ricordato Vegana, ricordate che non solo i gatti sono esseri meravigliosi capaci di donare amore e di avere una loro individualità, ma TUTTI gli animali, nessuno escluso.
Basta mangiare animali, basta gabbie, basta sfruttamento.
Animali liberi! ;-)
Cavoli mi ha fatto piangere... stupenda questa storia...
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