Deker Road si snodava sulle
montagne come un serpente che strisciando scappava dal mare. Era una giornata
bellissima, sulla strada deserta non incontrai neanche una macchina né in un
senso né nell’altro mentre percorrevo le quindici miglia fino alla cima di
Mulholland Drive.
Il cartello diceva “Autorimessa
Griswold”. Imboccai lentamente la deviazione ed entrai con la familiare nella
valletta a cento metri sotto la strada. Il posto era un caos totale. Automobili
e frigoriferi abbandonati, macchinari agricoli arrugginiti, cataste di legna,
pile di pneumatici, bidoni dell’olio e sedili di macchine. C’erano dei polli
dappertutto, e raspavano nella terra rossiccia. Un paio di asini mangiavano le
erbacce che crescevano sulla collina.
Mi fermai davanti a un rimorchio
appoggiato a dei ceppi, aveva la parte anteriore decorata con targhe,
conchiglie, reti da pesca, zucche e stelle marine. Sopra la porta, un’unica
parola esprimeva il sentimento di Griswold nei confronti della guerra: Pace!
Quando scesi dalla macchina,
apparve, era sulla quarantina, basso, il tipo del bravaccio, con la barba
rossa, dei jeans e una maglietta. Masticava tabacco.
«Sì, signore».
«Sono venuto a vedere il cane».
« È lo sceneggiatore?».
«Esatto».
«Venga».
Camminammo per venti metri, fino
a un recinto quadrato, fatto di pezzetti di latta e legno, alto tre piedi.
Griswold vi lanciò uno sputo di tabacco al di sopra.
« È lui?».
Gli andai accanto e guardai lì
dentro. Sulla terra rossa non c’era più nessuna vegetazione. Nell’angolo, su un
giaciglio di paglia, c’era Stupido. Una tettoia bassa lo proteggeva dal sole.
Sembrava addormentato, e quando lo chiamai alzò appena la testa e scodinzolò
riconoscendomi. Poi affondò di nuovo nelle stoppie. « È il mio cane», dissi.
Ci fu un movimento nelle profondità
della paglia. Fece alzare Stupido che emerse piano e indistintamente. Era un
maiale, un maiale bianco con macchie rossastre, che mettendosi in piedi spostò
il cane. Guardò verso Griswold e me, e vedendoci grugnì felice, con i fuscelli
che gli cadeva dal dorso mentre trotterellava verso di noi.
«Quella è Emma», disse
Griswold.
Era giovane e tonda come una
palla di neve, aveva mammelle bianche che rimbalzavano e un eterno sorriso
sulla faccia serena. Venne direttamente da me guardandomi con occhi azzurri
luccicanti, e il grugno le tremò per il piacere. Griswold abbassò la mano e lei
ci si strusciò contro. Anch’io abbassai la mano e quando il mio palmo toccò il
suo naso caldo, sbavò di felicità. Stupido le corse subito accanto, e le leccò
le labbra e gli occhi. Era pazzo di lei.
«Quanti anni ha?».
«Due. Me l’ha data il vicino
per la messa a punto dei freni».
«Perché sono insieme?».
«L’ha scelto il cane, non io.
Saltava sempre nel recinto».
«Succede qualcosa fra loro?
Voglio dire, si piacciono?».
Griswold si agitò.
«Niente di personale, Griswold.
È un cane molto eccentrico». Sputò del
tabacco. «Per la verità ci ha provato un paio di volte, ma lei lo ha sistemato.
Ora si comporta bene. Sa che penso? Penso che lui creda che Emma sia sua
madre».
La scrofa attraversò il recinto
dirigendosi a un rubinetto dal quale gocciolava acqua in una vasca, e Stupido
la seguì. Lei bevve, e così lui. Poi Emma trotterellò ancora da noi,
guardandomi con passione, e Stupido la raggiunse e le leccò via la paglia dalla
schiena liscia. L’ammirava terribilmente.
All’improvviso un umore giocoso
si impossessò del cane. Si buttò sulla pancia e abbaiò un paio di volte verso
il maiale. Poi partì correndo in circolo, abbaiando, piombandole accanto,
gettandosi sulla schiena, provocandola, geloso dell’attenzione che ci
dimostrava. Lei grugnì e gli andò dietro sulle sue gambette bianche, e lui si
fece raggiungere. Lei lo spinse contro il recinto, con i suoi cento chili che
rotolavano addosso al cane che le mordicchiava gentilmente le orecchie. Poi lei
perse la pazienza e gli morse una gamba. Con un ululato, lui si diresse
zoppicando verso il giaciglio di paglia e ci si stese sopra.
«Avranno nostalgia l’uno
dell’altra», dissi.
«Non per molto. Fra un paio di
giorni la macello».
Lo fissai. «Macellarla?».
« È un fantastico maiale da pancetta. Guardi che spalle».
Emma mi sorrise come se fossimo
dovuti rimanere insieme per sempre.
«Le sparerà?».
«Si appendono per le zampe
posteriori e gli si taglia la gola. Così perdono bene tutto il sangue».
Eccolo lì, con la sua faccia
calma e barbuta e Pace scritto sulla porta, che pianificava l’assassinio di
quell’amabile creatura. Dovetti scappare, via da lui e dal giocoso sorriso di
quel maiale adorante. Tirai fuori il portafoglio e gli contai trecento dollari
sul suo palmo calloso.
Stupido non si lamentò quando
lo tirammo via dal recinto, legato a una fune, ma sembrò piangere in silenzio
mentre cercava di liberarsi dalla corda annodata, e l’infelice Emma grugnì e
sospirò fino a quando non arrivammo al cancello. Lo issammo nella familiare e
chiudemmo lo sportello posteriore. Allora cominciò a ululare, a grattare ai
finestrini, scivolando sulle zampe, i suoi urli perforavano le orecchie degli
asini lontani e i polli si misero a chiocciare quasi presi dal panico.
Maria.
Guardai ancora nel recinto. Il
maiale era sulle zampe posteriori e cercava di vedere oltre lo steccato, ma era
troppo basso, e si riusciva a scorgere soltanto il grugno.
Maria.
Salutai Griswold e salii in
macchina mentre il cane quasi impazzito saltava e graffiava il finestrino
posteriore.
«Le piacerebbe un bell’arrosto
di maiale?», disse Griswold.
«Non particolarmente».
«Gliene farò avere uno».
Maria.
«Griswold», dissi. «Sa che
farei se fosse mio?».
Sputò del tabacco.
«Lo chiamerei Maria, come mia
madre».
«Divertente».
«Non intendo paragonare mia
madre a un maiale, Griswold, ma anche lei sorrideva sempre».
«Davvero?».
Misi in moto.
«Quanto vuole per lei,
Griswold?».
«Non è in vendita».
«Quanto?».
Si avvicinò e appoggiò le mani
sul tetto della macchina.
«La vuole veramente?».
«Sì».
Mi guardò strizzando gli occhi
come uno che prende la mira sulla canna del fucile.
«Trecento».
«Detesto essere crudo,
Griswold, ma lei è uno stronzo. Affare fatto».
Sorrise.
Levai altri trecento dollari e
lui li intascò. Adesso Roma era proprio andata. Feci retromarcia fino al
recinto e spingemmo Maria nel bagagliaio. Stupido era fuori di sé dalla
felicità, saltava così in alto da picchiare la testa contro il tetto. Grugnendo
eccitato, il maiale slittava sul pavimento e alla fine trovò una posizione
comoda e sicura in un angolo. Stupido vide una macchia sulla sua pancia e
prontamente la cancellò con la lingua.
«Che gli dà da mangiare,
Griswold?».
«Spazzatura. Ho un accordo con
il Decker Inn. Tutta la spazzatura che voglio per cinque dollari al mese. Lo
può fare anche lei. Si porti la pattumiera».
«No, grazie. Da ora in poi
questo maiale mangerà solo cereali e grano».
Griswold sputò e mi guardò
prendendomi in giro.
«Vuole comprare una buona
pattumiera?».
«Ce l’ho
già».
(da Il mio cane Stupido - A ovest di Roma - John Fante)
Un grazie speciale a Dinamo Seligneri (lui sa perché) :-)
15 commenti:
Io adoro John Fante.
http://www.flickr.com/photos/22858532@N08/6709474195/in/set-72157607287201814
Io pure. :-)
Mi sa che ne avevamo già parlato infatti, proprio anche con Dinamo.
Ciao De Spin. :-)
Grazie Jonuzza per aver a tua volta condiviso. :-)
Dev'essere stato un convegno interessante, tu c'eri andata?
E' un tuo collega?
Fa piacere sapere che tanti filosofi si interessano degli animali. :-)
Un caro saluto (ho iniziato a leggere il tuo libro... caspita ci sono così tanti bei riferimenti letterari, all'arte... davvero una sorta di stream of cosciusness della memoria, sono ancora agli inizi però).
Ommioddio devo leggerlo... stupendo sto pezzo.Il cuore mi è andato in frantumi quando ho letto "macellarla" ma si è ricomposto quando l'autore ha salvato la scrofetta... stupendi!!!!!
:)))
Ci sono tante sequenze straordinarie in quel lungo racconto, questa è una di quelle. Bellissima sia per scrittura che per sostanza. Fante è tanta roba non c'è niente da fare.
Sono contento che hai letto:)
Buona giornata a tutti
Volpina, questo primo racconto narra le vicende, o meglio il rapporto che lo scrittore/sceneggiatore Molise (alter ego di John Fante), di origini italiane, ma che vive a Los Angeles, intrattiene con sua moglie ed i figli. In mezzo ci si mette un cane, Stupido, che trovano una sera nel giardino. Diciamo che il cane fa da collante a tutta una serie di situazioni in cui Henry Molise poi riflette sulla propria vita, e la vita in genere, le sue aspirazioni, la sua famiglia e tante altre cose.
Se non conosci John Fante, oltre a questo ti consiglio Chiedi alla polvere (che fa parte di una saga, la saga Bandini) e La confraternita del Chianti, che invece fa parte della saga Molise.
Ciao Dinamo,
mi è piaciuto davvero tanto, grande scrittura, lucida, intensa e tanta sostanza, sì.
Buona giornata a te. :-)
Sai che non ho mai letto John Fante, non so perché. Molto bello questo estratto, si vede subito che sa scrivere :-)
Apprezzo anche moltissimo il salvataggio di Emma, mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Perché sopporto tutto in un libro o in un film tranne quando un animale fa una brutta fine :-)
Ciao Martigot,
John Fante è stato un grandissimo scrittore, se vuoi avvicinarti a lui ti consiglio, per cominciare, i due romanzi che ho segnalato nel commento sopra in risposta a Volpina.
Anche io mi sono rammaricata quando ho letto che Griswold voleva macellare Emma, ma poi ho sperato nel buon cuore di Henry Molise e infatti non mi ha delusa. :-)
Ah be', io sono un fan sfegatato di Fante, e pure di Ginsberg, Borroughs, Kerouac e di tutta la beat generation, ho sempre pensato che chi ama leggere non puo' esimersi dal "frequentare" questi scrittori.
Pensa, quando Hemingway scrisse per chi suona la campana, fece scrivere a John la frase che apre il libro in terza pagina:
"Ogni morte d'uomo mi riduce, perché io faccio parte dell'umanità.
E, dunque, non chiedere mai per chi suona la campana. Essa suona per te"
Un genio.
Ciao
Zac
Scordavo, leggiti "Chiedi alla polvere", forse il suo capolavoro.
Ciao Zac,
ho letto Chiedi alla polvere, infatti lo consigliavo anche a Volpina e Martigot; io e Arturo Bandini siamo vecchi amici, conosco tutta la saga. ;-) Anzi, Chiedi alla polvere è stato proprio il suo primo romanzo che ho letto e quello che mi ha fatto innamorare della sua scrittura.
Il film l'hai visto? Io solo la prima parte, poi mi si ruppe il dvd (preso a noleggio) e non ho più avuto l'occasione di riprenderlo. Non mi sembrava malaccio però.
Straordinaria la frase in Per chi suona la campana, non sapevo che l'avesse scritta John Fante, è un romanzo che ho letto da ragazzina, in effetti dovrei riprenderlo in mano pure se Hemingway non è tra i miei autori preferiti (ne riconosco la grandezza, ma non riesce a toccare le mie corde come altri scrittori hanno saputo fare).
Visto quando lo diedero su sky, nulla a che fare con il libro, un film discreto, nulla piu'.
Per intendersi, se hai letto "La versione di Barney" del mitico Mordecai, ecco, non andare a vedere il film che ne hanno tratto.
Concordo Zac, ho letto La versione di Barney e visto il film, che infatti non mi è piaciuto. Diciamo che sono rari i film tratti da opere letterarie in grado di restituire lo spirito ed il valore di quest'ultimi.
Un saluto :-)
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