Da qualche tempo sono entrate in uso espressioni
quali: “allevamenti biologici”, “carne biologica”, “benessere animale”,
“allevamento a terra”, “allevamento all’aperto”, “macellazione etica” e così
via.
La gente compra la “carne biologica” sentendosi la coscienza
a posto nella ferma convinzione di non star contribuendo alla sofferenza degli
animali.
Certo, il linguaggio ha una sua importanza. Anzi,
direi che nella nostra cultura il linguaggio è tutto. Esso non serve a “dire” o
rappresentare i concetti, ma è capace di crearli dal nulla. Basti pensare a
parole come “libertà”, “dignità”, anche “amore”, parole che non designano nulla
di concreto e preciso, ma che veicolano solamente idee astratte. La potenza
evocativa delle parole è talmente forte che spesso basta solo chiamare le cose
con un altro nome per illudere che esse siano diverse.
Il linguaggio politico e quello dei media è
specializzato nel mettere in atto queste mistificazioni verbali. Quando ci si
rende conto che la sensibilità della gente sta cambiando rispetto a determinate
tematiche, allora, per non “disturbare” o “offendere” le coscienze e per non
perdere credibilità presso l’opinione pubblica, si adottano diverse
terminologie; così le guerre diventano “missioni di pace", l’uccisione di civili
un “errore strategico”, l’invasione di un paese per l’accapparamento di risorse
energetiche si fa “esportazione di democrazia”, gli zoo si trasformano - ma
solo a parole - in “bioparchi”, i macelli sono “aziende per la lavorazione
della carne” dove la sofferenza di migliaia di esseri senzienti si nasconde
dietro la menzogna di “carne felice”, “carne biologica” e così via.
L’adozione di certi termini - studiati ad hoc
proprio per evocare un certo tipo di immagini, magari neologismi di origine
inglese così che la maggior parte della gente sia incapace di coglierne
l’etimologia e ne apprenda solo in maniera indistinta ed assai imprecisa il
concetto che si vorrebbe designato (ma quello della designazione è sempre comunque atto
arbitrario, fatto che, al di là dell’intento mistificatorio vero e proprio
sarebbe già di per sé sufficiente a rendere problematica l’attribuzione di
significato) - serve proprio a
rimuovere e negare la vera realtà delle cose.
Cerchiamo di ragionare senza farci ingannare
dall’uso tendenzioso (tendenzioso perché ha il fine di mistificare la verità)
della semantica: cosa potrà mai significare il sintagma “carne biologica”? Esso
sta a significare in realtà che il foraggio con cui è stato nutrito l’animale,
destinato al macello per poi finire sulle tavole, è biologico, ossia non
contaminato da pesticidi, coltivato in un terreno possibilmente al riparo da
agenti inquinanti e non modificato geneticamente (non ogm). Il termine
“biologico” può avere quindi una sola rilevanza di tipo salutista e al
massimo ambientale, ma non di tipo etico nei confronti dell’animale cui quel
cibo è destinato. Quel che interessa infatti non è salvaguardare la salute
dell’animale, ma la salute di chi di quell’animale dovrà nutrirsi. Siamo
all’interno di una logica antropocentrista per cui ciò che sta a cuore è
unicamente il benessere dell’uomo. Eppure, accostando il termine “benessere”
all’aggettivo animale si veicola falsamente l’idea che si sia salvaguardato anche il benessere dell'animale.
Analizziamo da vicino il termine “benessere
animale”: esso indica lo “stare bene”, il “vivere bene” e vi include non solo
l’assenza di malattia, dolore, disagio fisico e psichico, ma anche il
raggiungere e mantenere il potenziale delle varie specie animali secondo quelle
caratteristiche che gli sono proprie. Va da sé che in nessun allevamento di
animali destinati ad essere uccisi per essere trasformati in cibo vi può essere
il pieno soddisfacimento di quelle qualità che ineriscono al valore ultimo
della loro esistenza che è quello, appunto, di vivere.
Oltre a questo livello particolarmente subdolo di
mistificazione - o appannaggio della realtà - ci sono poi altri livelli di
menzogne, più o meno deliberate. Ad esempio nelle confezione di uova si legge
spesso: provenienti da “galline allevate a terra” e
così il consumatore frettoloso e superficiale - e tale è perché non
approfondisce - mette a tacere la voce della coscienza trastullando la propria
immaginazione - rinforzata da immagini e slogan pubblicitari - con scenette di
una natura bucolica in cui le galline razzolano libere e sono felici di deporre le
uova per il contadino che le ama e le rispetta e, ovviamente, per noi.
Niente di più falso!!!
Recenti indagini svolte nei principali allevamenti
di galline ovaiole dai quali provengono la maggior parte delle uova in
commercio, hanno portato alla luce una realtà ben diversa: “allevate
a terra” non significa che le galline sono libere di razzolare, ma che
semplicemente le gabbie sono poste sul terreno. Oppure che gli animali
sono effettivamente fuori da gabbie, ma ammucchiati a migliaia all’interno di
un capannone chiuso, in numero talmente elevato da non riuscire ad avere
l’autonomia di compiere nemmeno un passo: un vero e proprio inferno di penne,
piume, zampe, becchi - questi ultimi dalla punta rigorosamente recisa alla
nascita - operazione peraltro molto dolorosa ed effettuata senza anestesia -
affinché non si cannibalizzino a vicenda a causa dello stress. Le galline, così
sfruttate - sottoposte ad un ciclo interminabile di nutrizione perché i ritmi
circadiani vengono alterati con l’ausilio di luci artificiali permanenti -
compiuto il loro “ciclo di massima produzione” di uova, vengono poi uccise. I
pulcini vengono selezionati alla nascita, quindi i maschi - inutili perché non
producono uova - tritati vivi.
Dietro alla rassicurante ed ingannevole scritta “uova
da galline allevate a terra” in verità si nasconde una realtà di
orrore, sfruttamento, indicibile sofferenza, morte.
Eppure ciò che cattura l’attenzione del
“consumatore” - al pari di una scritta fluorescente capace di stimolare i sensi
e di solleticare l’immaginazione -
è la dicitura “allevate a terra”.
“Io compro solo latte e formaggi biologici”
ed ecco che pronunciando simili affermazioni la gente si illude di compiere una
scelta di tipo etico e di zittire l’animalista di turno che sta cercando di
sensibilizzare sulla sofferenza degli animali. Chissà cosa pensa del
“biologico” il vitellino che appena nato viene strappato alla madre - e sia
madre che figlio si disperano e piangono per giorni e giorni dopo essere stati
separati - ingrassato a forza con foraggio effettivamente “biologico” e poi
messo sui camion della morte con destinazione ultima macello?
“Ah, ma io compro carne solo dall’allevatore di
fiducia”. Sì, ma questo basta per impedire che un essere senziente venga
comunque ucciso e soffra per mano dell’uomo? Forse la mano dell’allevatore
di fiducia che cala la mannaia sulla testa dell’animale è una mano più
pietosa di quella dell’allevatore anonimo? Come non capire che la sola
pietà possibile è quella della sospensione e del rifiuto dell’atto di uccidere?
Può esistere una morte che non sia morte?
Un’uccisione che sia più etica di un’altra? Uno sfruttamento di un essere
senziente che sia compatibile con il desiderio di quest’ultimo di nascere e
vivere libero?
Ad Auschwitz c’era scritto “Arbeit macht frei” - “il
lavoro rende liberi”.
Eccolo, l’inganno semantico!!!
Lo stesso che oggi viene usato ogni qual volta si
dice “carne biologica”, “benessere animale”, “animali allevati liberi”,
“macellazione responsabile”.
Un luogo di reclusione - gabbia o “campo di lavoro”,
prigione all’interno di mura o “arena” all’aperto che sia - sempre un luogo di
reclusione, quindi di sofferenza, rimane.
La realtà non vuole essere “designata”, ma vuole
essere esperita, conosciuta, svelata. Non fermiamoci allora ai caratteri
cubitali - meri segni arbitrari - ma cerchiamo di approfondire, di conoscere, di
vedere ciò che realmente avviene oltre le parole. Chiediamo ai servizi di
informazione (i media) di mostrarci la realtà degli allevamenti, dei macelli e
dei laboratori per la vivisezione - tramite video e inchieste trasparenti - e
smettiamo di illuderci che dal cilindro della prestidigitazione delle parole,
come per magia, quel che è sofferenza si tramuti improvvisamente in
“benessere”.
6 commenti:
Sti cazzi.
E con l'ultima parte del "Arbeit macht frei” hai dato una stangata senza limite.
Bravissima.
Grazie Volpina! :-)
Eh sì, la scritta che sovrastava l'entrata dei campi di concentramento è un esempio quanto mai pertinente!
A volte penso di essere finita nel mondo del Grande Fratello orwelliano dove la propaganda intendeva l'esatto contrario di ciò che affermava eppure la gente era incapace di discernere l'inganno.
Concordo in pieno con le tue considerazioni.
Anche a me dà particolarmente fastidio sentire parlare di bio quando è riferito alla carne, perché il concetto di base non cambia, ovvero, gli animali vengono comunque uccisi. Il bio viene scelto essenzialmente per il consumatore e per il suo benessere, sostenere che lo si fa anche per gli animali per me é un controsenso.
Se mi facessero alloggiare in un hotel 5 stelle e poi un giorno mi facessero fuori per trasformarmi in bistecche non me ne importerebbe più di tanto di poter vivere nel lusso fino a quel momento...
Siamo abili a rigirare le frittate grazie alle parole, proprio come dici tu. Peccato che spesso il vero significato delle cose sia molto diverso.
E che dire di tutte le espressioni speciste, tipo "ammazzato come un cane" o "sgozzato come un maiale" che popolano il nostro linguaggio? Anche questo dice molto del nostro rapporto con gli animali.
Ciao Martigot,
l'assurdità di certe contraddizioni è che la gente non vuole sentirsi dire e non vuole sapere (quindi si attacca a tutto pur di negare la vera realtà dei fatti) che gli animali soffrono, però accetta tranquillamente, senza mai metterlo nemmeno in discussione, il fatto che vengano uccisi per diventare cibo.
Quindi va bene che diventino cibo, purché non soffrano. Tu pensa pure alla dichiarazione di Grillo, quella in cui afferma di essere un carnivoro (poi non ho capito, esistono forse due "razze" diverse di essere umano? O siamo tutti carnivori o non lo siamo. E poiché è dimostrato che si vive benissimo senza mangiare carne, evidentemente l'essere umano NON è carnivoro), ma di non sopportare la violenza gratuita sugli animali. Secondo lui quindi allevarli per ucciderli non è violenza. Cos'è? Mah.
In quanto a tutte le altre espressioni speciste che citi, non solo dicono moltissimo sul nostro rapporto con gli animali, ma esse contribuiscono a rafforzare una determinata idea per cui all'animale è "normale" che venga riservato un certo trattamento.
Certo è che finché ci saranno "maiale sgozzati", "prede braccate", "cani ammazzati" ecc., allora ci sarà anche sempre qualcuno che vorrà fare la stessa cosa all'essere umano.
La violenza e la sopraffazione sul più debole hanno la stessa radice.
Buona giornata e grazie per essere passata a leggermi. :-)
Dici giusto: la parola crea.
(bravissima, come sempre)
Grazie. :-)
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