Ho il piacere di proporvi un bellissimo articolo - lucido ed essenziale - scritto dal mio carissimo amico Luca, che ringrazio, curatore dell'interessante blog Satira Trascendente.
La foto, scattata sempre dal medesimo, che ritrae un cartello posizionato all'esterno di un comunissimo supermercato, documenta l'agghiacciante realtà in cui avviene e si conferma la reificazione della vita.
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Tempo fa ero a pranzo coi parenti.
Si celebravano svariate ricorrenze accumulate nei mesi in cui imprevisti e
defezioni avevano stancamente prorogato l'evento. Poi finalmente si riuscì,
tutti al ristorante.
«Di cosa ho voglia», rimugina nonna, «pollo, coniglio, agnello, maiale...?»
Scenetta abituale quanto
agghiacciante: sfogliare l’ideale catalogo dei sapori dei cadaveri cotti.
Cinica induzione organolettica così massimabile: ho mangiato i tuoi antenati
dunque prevedo che sapore avrai tu tra i miei denti.
Cosa scrimina due abitanti della medesima cultura al punto di provare acquolina o voltastomaco scorrendo visivamente il medesimo elenco di parole? La consapevolezza, radicata in senso della realtà, di quanto segue.
Io non posso "mangiare pollo". Posso mangiare "un" pollo, un singolo animale appartenente a quella specie. Meglio: posso mangiarne il corpo morto. Mentre lo mastico, mentre lo cucino, il pollo non c'è più. È lì nelle idee di chi intende mangiarne il corpo, ma lui certo non si considererebbe più su quel piatto. Ma allora cos'è pollo?
Questa ambiguità esistenziale fonda la distinzione tra animali da compagnia e animali da cibo.
Nel primo caso l'animale rileva in quanto tale. Conta ciò che lo anima: quando il vostro affezionato muore, non c'è più. Un gatto come un parente: si può trovare una nuova fonte d'affezione, ma non sarà più lui. Quel singolo animale, nella sua unicità, non c'è più. Abbiamo appunto testuale espressione linguistica a indicare il decesso.
Gli animali da cibo invece vengono
in considerazione esclusivamente per il proprio corpo. E il corpo non scompare
dopo la morte, resta lì, inerte a subire qualsivoglia sevizia. In questa
accezione, che omette la vita dell’individuo, si parla comunemente di "pollo".
Pollo non è più il singolo animale.
Pollo diventa una generalizzazione, la sigla commerciale di un certo materiale
replicabile all'infinito. Si eternalizza il pollo, sottraendolo alla vita e
alla sua caducità: il pollo vive nella relativa denominazione. Così ne scompare
l’uccisione. Quando ordino pollo non chiedo un cadaverino sul piatto, ma piuttosto
levo una goccia al favoloso oceano del pollo. Che continuerà a esistere come
tale, certo non intaccato dal mio esiguo prelievo.
Questo abbaglio percettivo accade appunto quando ci dimentichiamo dell'individuo. Quando per pigrizia, debolezza, o nessuna ragione valida l'ego ritaglia una propria dimensione privilegiata per cui si sente altro da tutto il resto del mondo. Senza sottolineare che sovente questa presunta specialità è promossa e massivamente forgiata dagli psicologi del marketing, basti osservare che un sopruso è perpetrabile solo quando smettiamo di rivedere noi stessi nell'altro.
Non stupitevi se un cartello in strada invita a prenotare il “vostro” agnello pasquale. L’agnello sarebbe ammaliato di sapere che con tanto ordine e civiltà ne fissano la morte. Dopotutto anche gli animali da compagnia più curati sono normalmente considerati proprietà privata. Lo sono per il legislatore, lo sono per la mano che li nutre. Sono un giocattolo a disposizione del padrone. Che è propenso a essere tanto più magnanimo quanto più il giocattolo sia bello e divertente.
L'empatia, come cura e accoglienza, è cemento indispensabile di ogni vita di società. Quando gli occhi di qualcuno ci fanno specchio dei nostri, e lo neghiamo, abbiamo iniziato a ucciderlo.
14 commenti:
Mio Dio ho il volta stomaco.
Che orrore... e tra poche ore mi toccherà condividere la tavola con persone che amo che ingurgiteranno schifezze e la cosa mi farà imbestialire.
Ma io sarò li con il mio seitan e le mie verdure.
E protesterò.
Ho voglia di vomitare.
Ci si prova in tantissimi modi a spiegare alle persone l'orrore che noi percepiamo, nettissimo, e loro non percepiscono.
Sembra una situazione irreale, se vogliamo si potrebbe dire un incubo.
Tu sei lì, in mezzo ad una moltitudine che si nutre di cadaveri, e ti si strozza l'urlo nella gola e ti dici che tra poco ti sveglierai, e tutto sarà finito...e invece è proprio questa la cosidetta realtà.
La stessa realtà in cui io stesso ho vissuto per anni senza vederla.
Pasqua è come tutti gli altri 364 giorni. Solo un poco peggio, ma cosa conta? Ogni giorno anzi ogni minimo secondo è massacro, abuso e sterminio dei nostri amici.
Già, il drammatico è proprio questo.
Noi lo sappiamo, tutti i giorni è un massacro...è che da qualche parte bisogna pur cominciare, ci deve pur essere un modo perchè tutto questo finisca!
Io spero che sempre più persone diventino consapevoli che nessuno ha diritto di decidere della vita di un altro essere, umano o animale che sia.
Un bacio, Biancaneve.
Eppure, io trovo che nella sigla "il vostro agnello" sia all'opera qualcosa di ancora più crudele: mentre, come hanno ben messo in luce l'articolo di Luca e anche l'intervista recentemente tradotta sul blog il neurone proteso, nella produzione industriale di "carne" la singolarità dell'individuo animale viene negata, rimossa e occultata, qui invece viene esplicitamente riconosciuta e ciò nondimeno - questo lo trovo agghiacciante - consumata senza troppi scrupoli. Come nella Corrida, che gli aficionados difendono sostenendo che il toro è vissuto bene e ha perfino ricevuto un nome - ma appunto! l'hai nominato, hai preso atto che di là dal nome c'è un individuo! - o nella terribile, orrenda iniziativa "ingrassa il tuo maiale", qui si sancisce definitivamente il pieno diritto dell'umano di disporre di tutte le altre vite, anche quella vita, singolare e irripetibile. Non so, mi sembra una perversione forse maggiore.
@ Volpina
Com'è andata la tua giornata poi ieri?
Io ieri sera mi sono vista con alcuni amici e ho raccolto alcune chicche sull'argomento degne di essere quanto prima riportate sul blog, ci farò un post presto.
@ De Spin
È vero, i massacri avvengono ogni singolo istante di ogni singolo giorno e la Pasqua è solo uno di questi.
Eppure ieri mi ha colto un vero e proprio moto di disperazione quando lungo una strada provinciale che stavo percorrendo per raggiungere i miei ho visto un prato dove stavano pascolando delle pecore... e non c'era più nemmeno un cucciolo tra loro.
@ Maura
Il cammino è lungo, noi andiamo avanti, forti della nostra consapevolezza di star proseguendo nella direzione giusta. :-)
@ Serena
Sì, è vero, non si può non riflettere su quel "tuo" agnello pasquale, aggettivo possessivo che quindi sancisce il possesso, la piena proprietà dell'animale e che, in questo atto quindi, ne ribadisce anche la reificazione perché di fatto, e legalmente, solo gli oggetti si possono possedere.
A quel punto l'esortazione a "prenotare il proprio agnello" ne legittima l'uso esclusivo, la possibilità di farci qualsiasi cosa.
Ancor più agghiacciante, è vero.
Ohhh anche io ci farò un post con i discorsi che ho sentito... Lasciamo stare, mi sono chiusa in camera per evitare di prenderli a calci in culo.
Proprio oggi, prima di leggere questo post, mi sono imbattuta in una cosa che ricorda molto questo "IL TUO agnello"...
e forse è ancora più agghiacciante...pensavo di farne un post. Ora ne ho la conferma. lo farò.
E' impossibile dal mio punto di vista rendere gli individui numeri per evitare l'affezione e poi renderli individui solo per essere "scelti" dal consumatore...questa cosa mi schifa.
Infatti io non riesco a comprendere come possano alcuni allevatori chiamare per nome alcuni animali (come nel caso di quella storia del povero maiale Gino che hai raccontato nel tuo blog) e poi ucciderli; ma vabbè, io non posso proprio comprendere come si possa uccidere un essere senziente in ogni caso, che abbia un nome o meno. :-(
@ Volpina
Certe giornate sono peggio di altre, purtroppo... :-(
Visto il taglio filosofico, starebbe bene su Asinus Novus. Proponiglielo, merita visibilità.
proprio uguale a quelli che si comprano il loculo al cimitero...
(prenota la tua bara!)
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