L’espressione Velo di Maya è stata introdotta nella filosofia occidentale da Arthur Schopenhauer ne Il Mondo come Volontà e Rappresentazione e riprende concetti metafisici propri di alcune filosofie orientali, in particolare dell’Induismo; analogicamente a quanto aveva descritto anche Platone ne Il Mito della Caverna (il filosofo ateniese dalle spalle larghe - com’è noto, aveva compiuto anche alcuni viaggi in Oriente e molte delle sue idee risentono innegabilmente dell'agire del sincretismo culturale), l’uomo nasce con un velo sugli occhi che gli impedisce di scorgere la realtà ultima delle cose; solo liberandosi da questo velo egli potrà finalmente accedere alla conoscenza e percezione della vera essenza della realtà, ottenendo così quella liberazione spirituale che gli permetterà di interrompere il ciclo doloroso delle morti e delle rinascite (samsara).
Schopenhauer, nelle sue opere filosofiche, fa spesso riferimento al sogno per indicare la condizione comune dell’uomo, la cui vita risente appunto di schemi conoscitivi indotti sin dalla nascita che impediscono di cogliere l’essenza ultima della realtà o la rendono accessibile solo a sprazzi; condizione - questa della vita intesa come sogno - di cui in letteratura si trovano antecedenti notevoli allo stesso Schopenhauer, ad esempio nell’opera del famoso drammaturgo spagnolo Calderòn de la Barca, intitolata, giustappunto, La vita è sogno, alcuni spunti della quale, seppure rielaborati in maniera del tutto nuova ed originale, si ritroveranno nel dramma intitolato Il Principe di Homburg del grande autore del romanticismo tedesco, Heinrich von Kleist, il cui protagonista, il principe Federico di Homburg, soffre di sonnambulismo ed è incapace di distinguere i due piani del sogno e del reale.
Quel che certamente è interessante notare è che la condizione dell’uomo incapace di scorgere la realtà ultima, pur avendo una matrice filosofica orientale, giunge sino all’occidente attraversando secoli, autori ed opere diverse, e rimane fondo comune finanche di opere fantascientifiche più moderne - una su tutte quel capolavoro cinematografico che è Matrix dei Fratelli Wachowski, vera e propria rielaborazione in chiave post-moderna del Buddha Maitreya - assurgendo così a vero e proprio Mito universale dell’incapacità dell’essere umano di comprendere l'essenza ultima della realtà che lo circonda, costringendolo a permanere in uno stato di indotta schiavitù mentale.
Talvolta però nella vita di noi tutti accade qualcosa di improvviso e sconvolgente da darci l’impressione di aver avuto accesso, per un momento o più, ad un livello altro di realtà e di conoscenza: esperienze chiamate in vari modi cui, ad esempio, Joyce dava il nome di epifanie, attribuendogli il significato di intuizioni improvvise, ma intese in un’accezione epurata del suo significato teofanico originario.
Esistono anche, a più livelli, percorsi di vita ed esperienze dell’individuo che in un certo senso è come se, letteralmente, permettessero metaforicamente al cosiddetto Velo di Maya di cadere dagli occhi, inducendo una visione, comprensione ed elaborazione della realtà del tutto inedita, non sempre, ahimé, positiva, anzi talvolta decisamente dolorosa, ma in grado di liberare l'individuo dalle catene della consuetudine e di renderlo veramente in grado di agire nella piena accezione delle sue facoltà; sono momenti questi in cui le cose ci appaiono in maniera diversa da come le si sono sempre percepite e si ha come la netta sensazione di essere stati, fino a quel momento, vittime di un inganno gigantesco perpetrato ai nostri danni per renderci più sopportabile una realtà altrimenti troppo brutale da sostenere (un esempio di questa dolorosa epifania è rappresentato da quel bellissimo racconto breve di Buzzati che è Dolce Notte e di cui ho parlato qui); come avviene in quel gioiello cinematografico che è Matrix - il cui significato rimane fruibile su più livelli - accedere alla conoscenza può essere sì un'esperienza dolorosa, ma la sola in grado di rendere possibile l'affrancarsi dell'essere umano dal suo stato di schiavitù e letargo della mente. Finché la mente - coperta simbolicamente dal Velo di Maya - è incapace di scorgere la realtà ultima delle cose, è anche incapace di sciogliere le catene che la tengono schiava ed ancorata alla vera radice della sofferenza e del dolore; al contrario, la visione ultima, per quanto sconvolgente e drammatica, permette poi di liberarsi una volta per tutte dalla dolorifica menzogna dell'esistenza.
Altre volte, in questo blog, ho fatto riferimento sempre al cosiddetto Velo di Maya per spiegare l’improvvisa realtà dello sfruttamento degli animali di cui la maggior parte delle persone sembra non essere consapevole.
Siamo quotidianamente testimoni di un olocausto di proporzioni immani perpetrato ai danni degli animali eppure gli occhi della maggioranza delle persone paiono assistervi con un’indifferenza agghiacciante, incapaci di mettere a fuoco con lo sguardo una realtà eppure evidente, come se fossero in preda ad uno stato di trance o ipnosi collettiva, completamente imbambolati e vampirizzati da schematismi mentali - indotti perlopiù dalla cultura dominante e da una martellante propaganda mediatica - di cui sono vittime inconsapevoli sin dalla più tenera età.
Durante la crescita la sensibilità dei bambini - naturalmente inclini a guardare e recepire con meraviglia e stupore, senza filtro alcuno, senza velo, potremmo ragionevolmente dire, la natura che li circonda e tutti gli esseri viventi che ne fanno parte, compresi gli animali - viene a poco a poco coartata ed indotta ad uno slittamento di prospettiva, così che giorno dopo giorno una coltre - sempre più scura e pesante - li rende incapaci di mettere a fuoco la realtà dispiegata davanti ai loro occhi. Mangiare e sfruttare gli animali diviene così un qualcosa di “naturale”, un percorso obbligato quasi, una necessità di cui non si riesce più a mettere in discussione i presupposti oppure ci si sforza di trovarne le più assurde motivazioni costruendo cervellotiche teorie a posteriori che però, a volerle analizzare bene, si mostrano inconsistenti e cadono come castelli di carte al primo soffio di ragionevolezza che vi viene alitato sopra.
Persino i cartoni animati più innocui - come ho avuto modo di constatare di recente, guardando Dumbo della Disney - mostrano sempre gli animali in uno stato di totale assoggettamento all’uomo, “naturalmente” contenti di “lavorare” in un circo e di eseguire gli ordini più disparati, sfruttati ed usati come “macchine viventi” messi a disposizione sulla terra.
Tutti noi siamo cresciuti imparando pian piano a rimuovere quella naturale (questa volta sì, che è d’uopo usare il termine naturale) empatia che da piccini ci portava ad accogliere con meraviglia la realtà in ogni sua manifestazione, senza discriminazioni di sorta, sobillati ad introiettare pian piano il concetto che sfruttare gli animali - schiavizzarli, sfruttarli, catturarli, rinchiuderli in gabbie, ucciderli, addestrarli, ridicolizzarli ecc. - sia una cosa “normale”.
Arriviamo ad un punto in cui questo stato di cose non viene nemmeno più messo in discussione, entrando a far parte di quelle ovvietà irremovibili che smettono di essere percepite come prodotto della cultura e vengono definite come “naturali” trasformandosi così in un dato di fatto irreversibile, socialmente accettato e condiviso dalla maggioranza.
Può accadere però (svariate possono essere le cause) che questo apparentemente stato “naturale” di cose venga smosso alla radice lasciando così intravedere uno squarcio di realtà improvvisamente diversa da quella fino a quel momento percepita: è il momento dell’inizio di tutto, il momento in cui il velo comincia finalmente ad allentarsi ed ecco che improvvisamente la realtà dello sfruttamento animale ci appare in tutta la sua innegabile evidenza. Da quel momento in poi - una dolorosa epifania - nulla potrà essere più come prima e, come se qualcuno o qualcosa ci avesse svegliato da un lunghissimo letargo della mente interrompendo così quel sogno che avevamo creduto essere la nostra vita, iniziamo a spalancare gli occhi sul mondo come se fosse la prima volta, volgendo lo sguardo sul nuovo stato di cose da una prospettiva del tutto inedita, scorgendo ed interpretandone così i particolari in maniera che prima sarebbe stato impossibile concepire ed iniziando a domandarci come sia stato possibile vivere in un tale stato di ottenebramento mentale.
Perché di questo si tratta, nulla più di questo: coloro che continuano a vivere nella più completa indifferenza riguardo allo sfruttamento degli animali non sono altro che persone rese cieche, sin dalla nascita, a causa di quel velo la cui trama pesante - oltre ogni simbolismo filosofico e letterario - intessuta dall’abitudine e dagli schematismi sociali e culturali non consente di mantenere uno stato vigile e lucido sul mondo, rendendo di fatto le persone simili a tanti automi-marionette preda di un sogno-obnubilamento collettivo senza fine, in cui l'apparente e momentaneo piacere è solo una pura illusione dei sensi e ci rende schiavi di desideri voluttuari senza fine la cui ricerca ossessiva di un subitaneo appagamento è solo fonte di altro dolore e sofferenza, in un ciclo reiterato e continuo.
Aprire gli occhi sulla terribile realtà dello sfruttamento animale significa quindi potersi risvegliare da questo stato di bamboleggiamento e sonnambulismo fuorvianti, rendendoci veri uomini in grado di compiere vere scelte e di riappropriarci di quella consapevolezza e lucidità che sole rendono possibile il cammino e l’evolversi su un piano più autentico e costeggiato da valori etici anziché oltraggiato dalle vane frenesie di un apparire vacuo ed inconsistente e dalle sollecitazioni continue di desideri inconsistenti ed indotti dagli schematismi del sistema in cui nasciamo.
Scorgere l’orrore dello sfruttamento degli animali, per quanto doloroso possa essere, permette il ritrovarsi di quel sentimento che è l’amore universale verso ogni essere, permette il ricongiungimento con quel Tutto che è la realtà ultima delle cose e rende possibile la comprensione di un fatto talmente semplice, nella sua disarmante appunto semplicità, che io mi domando a cosa serva stare a perdere ancora tempo nell’elaborazione delle più astruse teorie sull’antispecismo (cui, beninteso, partecipo, sostengo e mi associo alla diffusione delle quali anche io), essendo la vita stessa - l’essenza della vita stessa - ciò su cui soltanto e semplicemente dovrebbe basarsi il diritto alla vita degli animali; che è ciò che permette di scorgere la caduta del Velo di Maya dagli occhi: la vita, il fatto di essere vivi, dà agli animali lo stesso diritto che abbiamo noi di continuare a vivere la nostra, per il semplice fatto che noi tutti facciamo parte di un Tutto Unico che è il pianeta, finanche l'universo stesso, cui apparteniamo, indistintamente, come tante semplici molecole.
So che è difficile per l'essere umano - avvolto dal suo Ego, vero e proprio Velo di Maya - rinunciare al senso smisurato della propria individualità, abituato com'è, per cultura e sin dalla nascita, a sentirsi padrone indiscusso dell'universo, ma se l'antispecismo può avere davvero un senso allora è proprio quello di superare l'illusorio concetto di singolo per approdare ad una comprensione di ogni vivente come emanazione di quella luce primordiale che è l'essenza ultima della Realtà e di cui tutti partecipiamo indistintamente, uomini, animali, vegetali, diversi nella forma, ma uguali nella sostanza; luce che purtroppo ci è negato scorgere a causa di questo Velo, che, metaforicamente e per rielaborarlo secondo concetti di cultura occidentale a noi più familiari, potremmo anche analogicamente accostarlo a quello dell'Ego.
Il seguente post mi è stato ispirato dalla lettura dell’odierno post della cara amica Volpina curatrice del blog La Volpe mangia l'Uva in cui si parla degli occhi dei vegani e vegetariani a volervi suggerire lo scorgervi di un qualcosa di particolare, una lucidità, una consapevolezza forse, la quale, a mio avviso, altro non è che il segno di quel risveglio dal lungo sonno della mente seguito dopo il crollo del fatidico Velo di Maya, avvenuto il quale lo sguardo diventa più aperto, più vivo, nuovamente colmo di quell’amore e di quell’empatia che un tempo ci furono sottratti.
24 commenti:
Ahi ahi che ora finalmente posso descrivere gli occhi degli onnivori con questo bel termine "velo di maya". Non lo conoscevo sai?
Mi hai proprio dato un'illuminazione al riguardo.
Ebbene si, è proprio un risveglio quello che facciamo quando decidiamo di aprire gli occhi e di non voler più fare del male a nessuno.
All'inizio credevo si trattasse di qualcosa di scientificamente provabile, sai, del tipo "la carne gonfia/annebbia/assottiglia gli occhi" o cose del genere, però non avevano alcun senso e quindi mi sono dovuta ricredere... è il risveglio della nostra coscienza.
Mi sembra di essere stata un po' come Neo che si alza da quel suo lettino strambo pieno di cavi. Una nuova nascita.
Però il limbo non lo so ancora fare :D
La consapevolezza della vera individualità, togliersi dal gruppo anonimo e guardare tutto con nuovi occhi, senza velo.
Sembra che ci sia una mortale pigrizia nelle persone che preferiscono non pensare, si lasciano trasportare dal consueto, dall'abitudine, dal così fan tutti...
Credo che si debba imparare ad essere i padroni della propria mente, a saperla gestire e dirigerla; essa è definita MENTE: non dice la verità, ti inganna.
Rompiamo questo velo, facciamo cadere questo muro invisibile che tanto acceca!
@ Volpina
Allora dovresti leggere Il mondo come Volontà e Rappresentazione di Schopenhauer, sono sicura che lì ci troverai molta più "illuminazione" di quanta possa avertene "trasmessa" io, che in fondo mi sono soltanto appriopriata di una definizione giù amplicamente documentata per meglio spiegare analogicamente cosa avviene nel momento in cui si torna di nuovo a pensare agli animali come ad esseri viventi e non come ad "automi animati" (che orribile parola) a nostro uso e consumo come la nostra cultura ci ha purtroppo insegnato a fare.
Mi fa piacere comunque che tutto ti sia tornato, ossia quel quid indefinibile che riscontri negli occhi dei vegani e vegetariani e che manca assolutamente nei carnivori, il cui sguardo è ancora velato da un'idea del mondo fallace e menzognera.
Come Neo... già, dopo aver preso la pillola rossa. :-) E, come Neo, una volta che abbiamo "visto" non possiamo più far finta di niente. ;-)
@ Maura
Che strano, non avevo mai riflettuto sul fatto che la parola MENTE derivi proprio dal verbo MENTIRE.
Già... in fondo molti sostengono che la realtà non sia altro che il frutto della nostra percezione e poiché la nostra "mente" è appunto in grado di "mentire", la realtà stessa diviene il frutto di queste illusioni; mente come prigione che ci impedisce di scorgere la realtà ultima delle cose, infatti.
Grazie. :-)
Come sta il Cioppo?
M'è piaciuto. :)
Penso che però, spesso, il passaggio non avvenga come un'epifania improvvisa, ma gradualmente. Perché la "normalità" continua a rassicurarci su quanto fosse "comodo", dopotutto, quel velo (hai presente Cypher, il personaggio di Matrix?).
È una lotta continua perché, se in un momento hai sollevato leggermente il velo, fino a quando non l'hai tolto in buona parte continui a voler notare che le cose funzionano anche col velo abbassato e che, dopotutto è la stessa condizione di "tutti".
Ego: credo che non esista, in realtà, un Ego o un Io chiaramente definibili. Anch'essi sono nostre illusioni. Ce li creiamo per rassicurarci che abbiamo un qualche centro interno ben definito che tiene insieme tutto il nostro essere... Peccato che l'essere se ne stia insieme benissimo anche senza un centro monolitico da curare e difendere (Come la natura, che è un sistema complesso di relazioni, che non ha bisogno di un centro di comando per funzionare). Sì, perché buona parte dei problemi nascono proprio dal voler difendere questo inesistente centro.
E sì, ognuno ha una propria individualità, data dall'interazione di molti elementi vicini. Siamo definiti dalle relazioni degli elementi fisici ed emergenti del nostro corpo, dell'ambiente e di chiunque abbia qualche legame con noi. È necessario quindi rendersi conto anche dell'altrui individualità e, contemporaneamente, del fatto che queste individualità fanno tutte parte di un sistema dinamico più ampio.
"nel momento in cui si torna di nuovo a pensare agli animali come ad esseri viventi e non come ad "automi animati""
La cosa buffa è che molto probabilmente, anche noi non siamo che "automi animati" (Gurdjieff sosteneva che si possa uscire da questa condizione, con grande sforzo. io non ne sono così sicuro, ma mi piace pensarlo... o, meglio, "noto in me emergere questo pensiero"). :)
Un po' di empatia verso altri automi, quindi sarebbe opportuna.
OT
Non ho mai letto Heinrich von Kleist, ma nominarlo mi fa venire in mente questa musica:
http://www.youtube.com/watch?v=w2mjNMtN4mE
fine OT
@ Masque
Sì, credo anche io che questo simbolico Velo di Maya cada poco a poco, e che talvolta, nonostante venga smosso o allentato così da farci percepire sprazzi della vera realtà - nello specifico, la realtà della condizione degli animali, ma potrebbe essere applicabile a tutto ciò che ci circonda - si preferisca riposizionarlo ben bene sugli occhi (per restare nella metafora di Matrix: si preferisca prendere la pillola Blu che fa tornare tutto come prima).
Il discorso sugli automi mi fa pensare ovviamente anche ai Replicanti di Blade Runner e penso allora all'opera originale dickiana in cui l'umanità è riuscita finalmente a provare empatia verso gli animali, ma ha spostato il disinteresse e l'indifferenza verso i replicanti (che vengono definiti come i nuovi "diversi" da sfruttare ed usare), che invece sono capaci di sentimenti tanto quanto gli umani stessi e come gli animali; un altro esempio efficace di quanto ci inganniamo nel voler considerare come "diversi" esseri che sono in tutto e per tutto simili a noi e soprattutto su quanto ci inganniamo sulla nostra stessa natura, dandoci un'importanza ed attribuendoci un'anima che invece è solo il risultato di determinate funzioni.
@ Masque
OT: sto ascoltando il pezzo... sono solo all'inizio, rispondendoti praticamente in "diretta", ma mi sta piacendo moltissimo. Davvero evocativo, è il tipo di musica che piace ascoltare a me, quella che potrebbe benissimo essere usata come colonna sonora di un film.
Grazie!!! Davvero bello... da brividi.
Dunque, di Kleist, quando ti verrà voglia di leggerlo, ti suggerisco senz'altro il dramma di cui sopra, poi tutti i racconti ed anche l'altra opera sua famosissima che è Die Marquise von O, da cui Rohmer ha tratto l'omonimo film, ah, e poi ovviamente la sua Pentesilea.
Due parole breve per riassumerti un po' la sua "poetica": in lui istinto e ragione sono due momenti separati; l'irrazionale, la parte istintuale, l'annullamento della coscienza corrisponde però all'espressione più autentica e piena della propria volontà ed è spesso assimilata al femminile, mentre la Ragione è più appannaggio del maschile. Femminile e Maschile, irrazionale e ragione si fronteggiano, perdità del sé e controllo duellano per riuscire però, in ultima istanza a fondersi e a compenetrarsi l'uno nell'altro.
La passione, il sesso anche è perdita della ragione ed avviene in momenti in cui si ha la perdita della coscienza (come ne La Marquise von O), o in momenti in cui la terra stessa "perde" la "ragione" e diventa incontrollabile, ad esempio, come avviene in un racconto, durante un terremoto, momento che equivale quindi alla perdita del sé.
Questo è più o meno, molto sinteticamente, tutto quello che mi ricordo di lui... letto moooolti anni fa. ;-)
Ovviamente, com'è nel dramma Il Principe di Homburg, la stato del sogno è anteposto a quello della veglia, ma è nel primo che si compiono le scelte più sentite ed autentiche, sopprimendo quella ragione che spesso induce solo ad ascoltare la voce del dovere, dell'obbligo, in opposizione al proprio sentire ed alla propria più intima volontà.
Diciamo che, rispetto a quanto detto nel post a proposito dello stato di "sonno" della mente, in Kleist è visto in un'accezione positiva (ma infatti ho voluto citarlo en passant solo per far capire che lo stato della vita vissuta come sogno ha diversi antecedenti letterari a Schopenhauer, pure se intesi in diverse accezioni).
Bella l'interpretazione del romanzo di Dick. Quando lo lessi, non avevo fatto questo parallelo fra la condizione degli animali (che comunque, nel romanzo erano tenuti in una considerazione quasi sacra anche perché per lo più estinti... infatti anch'essi venivano replicati, ed erano i replicanti degli animali a svolgere la "funzione" di servo per l'uomo che avevano precedentemente gli animali non artificiali). Così è decisamente un quadro più completo.
Annullamento della coscienza. Mi fa pensare all'idea dell'Anatman ( http://it.wikipedia.org/wiki/Anatman ), letta di recente... Contino a scoprire che le cose più interessanti che finisco col pensare, le avevano già pensate altri, e molto meglio di me :D
Klaus Schulze: meglio se non comincio a parlarne :) ma se vuoi, puoi partire in ordine cronologico, tenendo presente che i primi album sono quelli più estremi. http://neuroneproteso.wordpress.com/2011/09/24/musica-cosmica/
Leggendo il primo commento di Masque mi viene in mente "Uno nessuno centomila", che per ritornare alla vera natura ad essere veramente noi stessi si viene presi per pazzi... ahhh che cammini bisogna intraprendere...
L'empatia bisogna provarla si, anche perchè a mio tempo sono stata automa, ma c'è necessità anche di cogliere l'occasione per passare uno straccio sulle webcam con cui gli automi guardano la loro realtà :D E fargli vedere che cosa c'è realmente dietro.
L'empatia (come la pietà, la pazienza) cessa di esistere nel momento in cui l'automa viene a sbattersene i circuiti...
@ Masque
Sì, avevo letto qualcosa dell'anatman su un testo che intendeva introdurre in maniera molto elementare al Buddhismo, mi pare scritto dall'attuale Dalai Lama; sono concetti molto interessanti che però riesco ad afferrare a livello ancora solo troppo intellettuale, ma non emotivo (essendo per forza di cose assai distanti dai principi e dagli schemi cardine della nostra cultura).
Fossi in te non mi preoccuperei troppo del fatto che le cose che arrivi a pensare sono già state pensate da altre, in parte è spiegabile con la teoria dell'evoluzionismo culturale, in parte con l'assunto che la conoscenza potrebbe essere benissimo solo una forma di ricordo, in parte con l'idea che tutto "è" e nulla viene realmente inventato... insomma... dai, l'importante è arrivarci a capire qualcosa, no? :-D
Comunque succede anche a me, e ne rimango piuttosto soddisfatta perché penso: "beh, non sono poi tanto stupida se sono arrivata a capire qualcosa per cui altri ci hanno scritto su dei libri e magari avevano anche letto molti più libri di me". :-D
Grazie per le dritte su Klaus Schulze, ora che mi ricordo mi pare che in effetti avevo già letto quel post in cui ne parlavi, solo che non avevo ascoltato i pezzi. Lo farò comunque, quello di cui mi hai messo il link prima l'ho ascoltato tutto e mi è piaciuto molto. :-)
@ Volpina
Eh, Pirandello è stato uno dei miei primi amori letterari ed ho molto amato Uno, nessuno e centomila. :-)
Diceva anche che: "solo i pazzi possono permettersi di dire la verità, perché tanto sono pazzi". :-D
Secondo me, è proprio l'illusione dell'ego a creare questo velo.
Se mi credo di essere "qualcuno", ovvero se ritengo di esistere in quanto entità separata, non creo che sofferenza per me e per l'immaginario mio prossimo umano o animale che sia.
La grande illusione è l'ego. Non esiste, non c'è nessuna persona, solo un'accozzaglia di emozioni e pensieri che ci è stato insegnato fin da quando eravamo molto piccoli a chiamare "io".
Gli animali di questo "io" non ne sanno nulla, ed è per questo che i loro occhi sono così puri (e gli occhi di noi veg iniziano ad assomigliare ai loro).
Non sono nemmeno io d'accordo con Gurdjeff. Uscire dall'ego attraverso uno sforzo (di chi, dell'ego?) mi sembra risibile.
Ho sperimentato per tanti anni numerose tecniche di meditazione, e sono giunto all'ilare conclusione che esse sono tutte inutili. Come può la mente (che sempre mente) uccidere se stessa?
Anzi! L'apparente ego diventa ancora più forte e radicato, diventa addirittura "Ego Spirituale"!
Credo più nel concetto di epifania. A me in fondo mi pare sia accaduto così se ben ricordo.
Questi come dire improvvisi squarci nel velo che accadono se accadono magari per caso.
Certo poi passa. Può essere utile un sistema di supporto per fissare-congelare-far sedimentare (Gurdjeff diceva cristallizzare). E per non impazzire, anche.
E' infatti un bello schock accorgersi di non esistere!
Esiste allora anche un ego vegan?
Certo ci si può atteggiare a vegano o vegetariano per vari motivi, politici, per sedurre una vegana, per impressionare ii proprio insegnante di yoga, ma se si smette di mangiare gli animali perchè è accaduto il riconoscimento, tale riconoscimento è proprio...un momento in cui l'ego si dissolve per lasciare il posto a ciò che è, alla verità nuda e cruda senza i filtri della mente (che sempre mente).
Serve a qualcosa diffondere il pensiero vegan, se la cosa in definitiva accade da sola?
Sì, secondo me è molto utile, sia per aiutare appunto nella "cristallizzazione", sia perchè non è casuale se qualcuno si imbatte nel blog di un vegano piuttosto che in quello di un prosciuttificio.
Se qualcuno ha voglia di leggere in inglese consiglio un libretto molto piacevole ed interessante sull'argomento:
"I hope you die soon" di Richard Sylvester (si trova su Amazon)
Bellissimo post, scritto benissimo (come sempre)e molto coinvolgente.
La mia idea dell'essere vegan e aver tolto questo dannato velo che ci oscura e annebbia la vista, comprende TUTTO. Animali, Umani, Natura.
Siamo composti di atomi, noi come le piante, l'unica cosa che ci differenzia nel profondo, è come siamo stati "assemblati", per questo, la cosa più naturale, dovrebbe essere vivere in sintonia con tutto quello che ci circonda, perché siamo tutti collegati, l'aria è impalpabile, la materia è solida o liquida, ma sempre composta da atomi, come me.
Come si diceva?
"Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni..."
@despin: Ho riletto il mo post e m'è sembrato di aver un po' sminuito Gurdjieff, citandolo così frettolosamente. Le cose sue che lo letto, attraverso Ouspensky, le ho tro trovare spesso geniali.
Non penso, comunque, che il risultato dell'ammettere la non esistenza dell'ego o anche dell'io, comporti la non esistenza dell'individuo. È più un cambio di paradigma, o di direzione: non è più l'io il principio primo che causa la mia mente, il mio essere individuale, ma il mio essere è l'emergenza di un insieme di relazioni "interne" ed "esterne" sparse. Io sono una rete di relazioni, che contribuisco a modificare e che mi modifica di conseguenza. Pensare che esista un io centrale che causa il resto e lo governa, è un'idea ingenua che ci sorge spontaneamente. È cognitivamente economia e ingenuamente intuitiva. In modo del tutto simile all'idea di un'entità creatrice dell'universo e dominatrice della natura. Il maggior successo delle idee di pricipio primo e di governo centrale, cioè tutto ciò che corrisponde all'arché, è merito della semplicità ed intuitività, dovute al fatto che siamo abituati da sempre a pensare linearmente in termini di causa->effetto. Al contrario, l'idea di emergenza, che nasce dai sistemi dinamici complessi, e l'organizzazione a rete (invece di lineare o gerarchica), sono cose meno intuitive e delle quali si possono trovare riscontri nella realtà solo dopo essere riusciti a superare l'abitudine di pensare esclusivamente in termini lineari di causa-effetto. Osserviamo la natura: non ha un governo centrale, ma è tutta una rete complessissima di relazioni che si mantiene costantemente in equilibrio dinamico. In modo simile, lo è la nostra mente. Chiaro, no? :D
@rita: Infatti non mi preoccupo di accorgemi che altri hanno già pensato prima alle cose che penso. Al contrario, lo trovo divertente. Anzi è molto probabile che quello che penso, sia dovuto all'influenza che questi altri hanno sparso in giro, e che mi sia ritornata sotto altre forme. Per essere coerente, direi che le mie idee non sono state generate da me, ma sono il risultato di un lavoro di filtraggio che la mente ha fatto sui vari input "esterni" che ha ricevuto (e che l'hanno formata). Si attacca al discorso sul copyright che avevo fatto in un commento di qualche post fa.
@ De Spin
Sì, in effetti anche a me pare che ci sia quantomeno un'analogia profonda tra ego e velo, ora tieni presente che tanto il termine "ego", quanto la metafora del Velo di Maya sono appunto dei concetti simbolici che più o meno significano l'incapacità dell'uomo di non riuscire a scorgere pienamente ciò che è oltre il proprio naso e in questo senso hanno significati più o meno analoghi, se non un vero e proprio rapporto di causa-effetto.
Penso che da bambini, quando appunto l'ego non è ancora così strutturato, sia più facile percepire le cose e noi stessi all'interno di una relazione, parti di un tutto; io ricordo che spesso, sempre da bambina, mi sforzavo di capire cosa volesse significare essere "altri", ossia di abbandonare la mia identità provando a trasferirmi, a "sentirmi" altrove, in un'altra persona. A posteriori poi ho dato un nome a questo "esperimento" che facevo di continuo ed ho pensato che fosse semplicemente il principio dell'empatia in atto, quel che chiamerei lo sforzo di mettermi nei panni altrui, ma magari invece era semplicemente una percezione un pochino più estesa di quel che significa "sentire" al di fuori della gabbia del proprio "io".
Mi interessa il libro che segnali, lo prenderò.
Riguardo il parlare del veganismo, credo che faccia sempre bene perché in fondo non sappiamo in quale maniera e quando arrivi un'epifania e può essere che per qualcuno avvenga tramite attraverso i nostri scritti: sai, magari una frase, una parola... possono essere un tramite per far comprendere qualcosa.
Le parole sono sempre e solo un tramite, mai il fine.
@ Dany
Ciao carissima, ogni volta che vedo il tuo avatar, quel maialino dolcissimo, sorrido sempre, è troppo bellino. :-)
Grazie, mi fa piacere che ti sia piaciuto questo mio post.
Sì, anche io da diversi anni (ma forse da sempre, pure se prima ne ero magari meno consapevole), penso alla natura, animali, noi come parte di un unico sistema. E in fondo l'ecosistema è così che funziona, voglio dire, percezione spirituale a parte, la scienza pure ha dimostrato che siamo tutti correlati ed abbiamo bisogno di sostenerci a vicenda: per questo danneggiare la natura, inquinare i mari, uccidere gli esseri viventi è un danno enorme che facciamo anche a noi stessi, ossia al tutto, di cui noi stessi facciamo parte. Gli animali questo lo sanno bene, infatti loro rispettano l'habitat in cui vivono.
"Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra piccola vita è circondata dal sonno".
Già.
E in fondo io mi chiamo Biancaneve, colei che si è risvegliata. :-D
@ masque
sì, la penso anche io come te, tutto quello che apprendiamo è il risultato di vari input, di stimoli che riceviamo e che poi rielaboriamo in maniera personale.
Sono poi convinta che la mente si ricordi di tutto, anche di libri o discorsi sentiti per caso tanto tempo fa e che poi all'occasione sappia come attingere a questo serbatoio inesauribile di materiale.
E in fondo la vera "cultura" è questa, ossia questa metabolizzazione e rielaborazione di quanto si è esperito nel corso dell'esistenza. C'è chi riesce a farlo in maniera più originale e creativa, chi meno, chi è in grado di fare nuove associazioni e di collegare argomenti anche disparati, chi meno, comunque sia penso che sia importante appunto trovare la maniera di riuscire a far valere le proprie intuizioni, nel senso di lavorarci sopra, di ragionarci... questo significa usare l'intelligenza: ossia prendere dei dati e saperli collegare riuscendo a trovare relazioni inedite.
Post molto bello.
Mi sembra che purtroppo un gigantesco Velo di Maya (concetto che non conoscevo, tra l'altro), sia steso sulla maggior parte di noi, per quanto riguarda nello specifico la terribile realtà dello sfruttamento degli animali.
Una tragedia silenziosa, perpetrata quasi sempre in luoghi "nascosti", e trattata mi pare come una sorta di tabù. Quando se ne parla, infatti, al di fuori del mondo animalista? I media, come abbiamo già detto più volte, dedicano pochissimo spazio alla questione animale, e sempre comunque entro certi limiti, come se esprimere posizioni troppo decise fosse proibito, e forse in un certo senso lo è.
Gli Uomini hanno fatto di tutto agli animali, e continuano a farlo, tenendo il velo ben teso davanti agli occhi. Mi chiedo se la maggior parte della gente avrà mai il coraggio di guardare oltre e di riscoprire, come dici anche tu, l'amore e la compassione verso questi esseri viventi che tanto soffrono per causa nostra.
Io credo, per esperienza, che molte persone abbiano dell'empatia nei confronti degli animali, ma spesso soffocano questo sentimento, o lo sminuiscono, perché purtroppo nella nostra società pare debba essere così...
Io nel mio piccolo cerco di strappare il Velo a quelli che mi capitano a tiro, che se non altro quasi sempre ammettono che ciò che facciamo agli animali è orribile, e magari ci penseranno un po' sopra :-)
un saluto :-)
@ Martigot
Ciao carissima, sì, purtroppo dici bene, della questione animale si parla sempre e solo tra di noi perché i media sono troppo sollecitati dalle varie lobbies di potere (allevatori e tutto ciò che vi ruota attorno, produttori di mangimi, di pellame, pellicciai, aziende farmaceutiche e via dicendo) per poter esprimere posizioni decise; quando se ne parla il dibattito non è mai paritario, se ad esempio in tv fanno intervenire un medico vegano, accanto gliene mettono altri cinque che invece sostengono che bisogna mangiare carne e pesce, oppure veniamo ridicolizzati, presi per estremisti, persone eccessivamente sensibili ecc.
Intanto però secondo me qualcosa si sta smuovendo perché noto che c'è sempre più accanimento nel volerci ridicolizzare e questo significa che evidentemente stiamo dando fastidio a qualcuno.
Continuiamo nel nostro piccolo a diffondere la nostra maniera di vivere nel rifiuto della violenza, qualcuno che passa, anche per caso, sui nostri blog potrebbe rimanerne colpito e magari quel velo che porta sugli occhi potrebbe assottigliarsi un pochino. ;-)
Un saluto a te. :-)
Ciao Biancaneve, Cioppo è nella fase "ti odio-ti amo" perchè la zampa con la frattura è ancora dolente e pur rimanendo in giardino e nutrendosi con quanto gli offro, mi sta un poco alla larga...
Diciamo che anche se non sono stata io ad investirlo, riconosce in me l'essere bipede dal quale stare alla larga!
Ah, da me c'è un regalo per te, se vuoi.
CIao,ciao.
@ Maura
... sei passata da "Lo sfidante"?
Anzi, se la risposta è no, ancora meglio.
:)
@Luca
...scusa, chi è "Lo sfidante?"
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