Ieri, in tarda serata, ho iniziato a leggere l’ultimo romanzo di Stephen King, 22/11/’63, di cui ho letto commenti entusiastici in internet e su vari blog.
Stephen King è un mio vecchio amore, l’ho letto tantissimo quando ero più giovane, seguendo ogni sua pubblicazione e difendendolo sempre con accanimento dalle accuse di non essere uno scrittore serio. Che nessuno mi tocchi King! Ok, non sarà Dostoesvkij, i suoi romanzi rientreranno pure nella cosiddetta letteratura di genere e di evasione, ma questo non significa un bel niente perché le etichette sono solo delle esemplificazioni che servono a catalogare, a semplificare, appunto.
Ricordiamoci che pure grandissimi autori quali Richardson, Dickens, Poe, Lovecraft sono stati considerati in passato autori di genere, o comunque si leggevano per puro intrattenimento, tanto che molti dei loro romanzi e racconti più famosi uscivano a puntate, con la speranza di far aumentare la tiratura dei giornali, e addirittura - episodio che ho già avuto modo di citare - quando nella Londra settecentesca morì l’eroina Clarissa dell’omonimo romanzo di Richardson, pare che tutte le campane suonarono a morto e che ci fu quello che la Storia riconobbe come il primo episodio di delirio di massa legato ad un fenomeno di quella che oggi chiameremmo fiction.
Quindi, dire letteratura di evasione o di genere in sé non significa nulla. Può trattarsi di romanzi scritti bene, quanto male. E su una cosa non ho dubbi: King scrive da Dio (stavolta scritto con la D maiuscola), è un vero narratore capace di trasportarci dopo solo poche righe, ma che dico, solo dopo tre parole, dentro l’atmosfera, i luoghi, la testa dei personaggi della storia che sta narrando e come descrive lui l’inquietudine di certi posti, la malìa di certi ambienti, il progressivo avvicinarsi del Male e i pensieri e poi quel mondo spensierato e pieno di presagi di cose a venire - fatto di pomeriggi assolati che diventano palpabili, assaporabili, odorabili, visibili tanto da poterli sentire e parteciparvi con tutti i sensi, sì che la lettura di ogni suo romanzo è sempre un viaggio vero e proprio - ecco sì, come descrive lui e come sa narrare le storie, beh, poche chiacchiere perché pochi altri sono capaci di farlo.
E a chi dice che però i suoi romanzi non possono rientrare a pieno titolo nella letteratura alta perché mancano di simbolismi profondi, perché non contengono metafore capaci di sollevarli dal mero dato narrato contingente per elevarsi a considerazioni di respiro universale, beh, io rispondo prendendo esattamente a prestito le parole di un personaggio di quest’ultimo suo lavoro: “alle volte un racconto è solo un racconto”. Ma se è un bel racconto, un bel racconto rimane.
Alle volte un romanzo è solo un romanzo, ma il piacere che ti dà la sua lettura, quel piacere ineguagliabile che solo certe grande narrazioni sanno dare, accompagnato da quella smania di saper come va a finire, di non riuscire a staccare gli occhi dalla pagina nemmeno quando questi bruciano e si sta facendo notte fonda, quel piacere di cui ogni lettore sa bene perché se non l’avesse provato almeno una volta nella vita non sarebbe mai divenuto un lettore (e sempre quello stesso piacere si finisce per ricercare ogni volta, come una droga fantastica provata una volta e da allora sempre ricercata), quel piacere che poi, nei momenti in cui si è costretti a mettere via il libro (per riposare, per lavorare, per uscire, per farsi la doccia ecc.) diventa pienezza dentro al cuore, dapprima presenza silente che accompagna e poi urgenza sempre più invasiva da spingere al desiderio di correre a casa, afferrare il libro, aprirlo alla pagina interrotta, buttarsi sul letto, o sul divano o dove si preferisce e dimenticare tutto, ecco, quel piacere vale da solo a confermare la validità di un romanzo, che sia alta letteratura o solo puro - immensamente piacevole - intrattenimento, poco importa. Ed ogni lettore che ami davvero leggere, proprio l’atto del leggere intendo, del dimenticare tutto, del far sparire le quattro pareti della stanza in cui si è rinchiusi, dell’essere catturati dalle pagine quasi fosse la tela di un ragno e di morirvi dentro, tra le spire di una storia dalla quale non si riesce a staccarsi, non può non essersi confrontato almeno una volta con questo tipo di letteratura.
Ecco, la maggior parte dei romanzi di King regalano esperienze di questo tipo.
E l’ultimo, 22/11/’63, iniziato ieri sera, si è letteralmente impadronito di me.
Ora non dirò molto, mi riprometto di tornarci sopra quando l’avrò finito - per il momento sono arrivata circa a pag. 225 ed è un tomo di 768 pagine, quindi si può dire che sia praticamente solo all’inizio dell’avventura - per quanto già dentro anima e corpo - eh sì, anche con il corpo perché poi quando si inizia a leggere un romanzo così non si riesce, letteralmente, ad alzarsi dal divano e si finisce per restare invischiati, risucchiati in questa sorta di sospensione ed astrazione dalla realtà vera che, necessariamente, è da intendersi anche fisicamente -, ma intanto però qualche considerazione interessante (alla faccia di quelli che dicono che i romanzi di King sono banali); la trama in fondo è semplice (il che non vuol dire che lo sia poi la storia con tutta la narrazione degli sviluppi, implicazioni, conseguenze, rapporti di causa-effetto ecc., ed un buon narratore è tale solo quando sa orchestrare un intreccio che abbia poco di meccanico, di automatico, ma risulti organicamente coerente alla struttura stessa del romanzo): siamo nel 2011 ed il gestore di una tavola calda rivela ad un suo cliente, un insegnante di letteratura, un incredibile - letteralmente incredibile - segreto. Nella dispensa della tavola calda esiste una sorta di portale invisibile che permette, attraversandolo (o meglio, scendendo alcuni scalini, e come è descritta magnificamente la sensazione proprio fisica del passaggio), di tornare indietro nel tempo, esattamente al 9 settembre del 1958. In sintesi, sorvolando su tantissime cose che accadranno, colpi di scena e stupori, riflessioni vari, il gestore della tavola calda, malato di cancro ai polmoni ed ormai prossimo alla fine, chiede a Jake, il protagonista, l’insegnante di letteratura, di fare quello che lui, purtroppo, non avrà tempo di fare: ossia tornare nel ’58, attendere fino al ’63 ed impedire che Kennedy venga ucciso perché questo cambiamento nella Storia a sua volta impedirebbe l’accadere di tanti altri fatti e probabilmente contribuirebbe a salvare molte altre vite, oltre a quella del Presidente stesso. Ovviamente a queste conclusioni ci si arriva tramite una serie di ragionamenti e dettagliati riferimenti alla storia americana del periodo.
Da questo punto il romanzo è un vero e proprio tuffo nelle atmosfere della fine degli anni cinquanta, con tanto di dettagli, slang, descrizioni degli abiti, pettinature, automobili, case, strade, paesi, paesaggi, insomma, tutto ciò che serve a restituire al lettore il sapore di quel periodo e della sua cultura popolare, di quella spensieratezza ed ingenuità (e quando passa a descrivere il sapore pieno della birra di allora o della barretta di cioccolata davvero viene da schioccare la lingua sul palato), con toni quasi nostalgici derivati dalla consapevolezza di un mondo, tutto sommato, più semplice e facile da vivere.
Comunque, senza divagare ulteriormente e sintetizzando al massimo (perché comunque oggi non volevo parlare del romanzo in sé, non essendo appunto arrivata nemmeno alla metà), ad un certo punto accade che il protagonista si rende conto che la possibilità di cambiare il passato implicherebbe poi conseguenze sul futuro, conseguenze del tutto imprevidibili (il futuro è sempre quindi condizione imprevedibile, pur provenendo dal futuro stesso rispetto al 1958 perché conoscere il passato e volerlo, potendo, cambiare - e vedremo che comunque non sarà nemmeno così facile perché il passato non vuole essere cambiato - ci troveremmo di fronte ad un’imprevedibilità di conseguenze ed eventi scaturiti dal cambiamento stesso: mentre ora sappiamo esattamente cosa è accaduto negli anni cinquanta ad oggi, modificando alcuni eventi di quegli anni si modificherebbe tutto il resto) e che, maggiore è la portata dell’evento che si intende cambiare nel passato, maggiore sarebbero le conseguenze e reazioni a catena che giungeranno a formare il futuro. E fin qui, nulla da eccepire, mi pare ovvio.
Quel che è interessante, pur non essendo affatto un argomento nuovo, è la riflessione intorno alla teoria del cosiddetto “Effetto Farfalla” (proprio su questo argomento è stato realizzato anche un film molto interessante che si intitola proprio The Butterfly Effect, del 2004, di E. Bress e J. Mackye): in pratica, ogni minimo evento, anche il più insignificante quale lo sbatter d’ali di una farfalla, potrebbe, a distanza di settimane, mesi, o anni, avere conseguenze di un qualche tipo magari dall’altra parte del mondo.
Nel romanzo di King tutto ciò è ben presente sin dall’inizio nella mente del protagonista: egli sa che il tornare indietro nel tempo e anche solo il rivolgere la parola ad un passante (rallentandone il cammino, inducendolo a fare delle riflessioni, facendogli venire in mente qualcosa o chissà in quale altro modo) devia in qualche modo il corso degli eventi così che il futuro - ossia il presente in cui si trova adesso, il 2011 - potrebbe essere impercettibilmente o anche significativamente diverso da quello che è oggi.
Quindi dilemmi a non finire, preoccupazioni (potrebbe anche, mutando il passato, far sparire il locale in cui si trova il portale per tornare indietro nel tempo) e, soprattutto, l’idea di voler cambiare non solo quell’evento cardine della storia americana, ossia impedire l’assassinio di JFK, ma anche la storia personale di alcune persone che conosce e che... non hanno avuto una bella vita a causa di un evento che, lontano nel tempo, causò loro una serie di conseguenze devastanti. Tutto ciò però, ossia anche la più minima azione, sconvolge e cambia totalmente le cose. E inoltre ogni volta che si ritorna al presente e poi si decide di tornare ancora al 1958, tutto si annulla e si deve ricomiciare da capo perché è come se nulla fosse mai stato cambiato.
Ora, romanzo di King a parte, ripeto, affascinantissimo, trovo particolamente interessante questo concetto dell’effetto farfalla ed oggi ho pensato (non per la prima volta in verità) a quanto ognuno di noi, anche con la più piccola ed apparentemente personalissima ed insignificante decisione, influisca invece sul corso degli eventi del mondo intero. Mi spiego meglio: apparentemente, se io oggi resto in casa oppure invece decido di uscire, questo dovrebbe non aver alcun valore se non per me, nella mia vita (o al massimo di quella di chi mi sta vicino), ma al mondo intero... che gliene importa? Di fatto nulla. Eppure avete mai pensato quanto invece la vita di ognuno di tutti noi sia impercettibilmente connessa con quella di tutto il resto del mondo e quanto da ogni nostro singolo passo potrebbero derivare una serie di conseguenze inimmaginabili? Uscendo di casa io incontro persone, magari mi fermo a parlare con delle persone, sorrido a o saluto alcune persone, quindi ritardo o anticipo altri gesti e, in ogni caso, metto in moto una serie di impercettibili eventi; e così ognuno di noi. Siamo tutti in movimento, tutti contribuiamo a mandare avanti il meccanismo nascosto degli eventi del mondo, tutti contribuiamo a far girare le rotelle di uno sconosciuto motore, anche quando ce ne restiamo tranquillamente a casa a poltrire sul divano (e a leggere S. King, come sto facendo io da ieri sera).
Non è terribile e meraviglioso tutto ciò? Questa consapevolezza di essere parte di un tutto, di determinare con i nostri piccoli movimenti - sebbene movimenti infinitesimali rispetto agli eventi grandiosi che hanno segnato la Storia - tutta una serie di azioni e di conseguenze che faranno, saranno il futuro del mondo intero.
Io ci ho pensato spesso. Ma attenzione, non in un’accezione destinica, nel senso che tutto si mette in moto affinché si realizzi un disegno, ma proprio nella sola ed unica accezione deterministica di rapporto di causa-effetto, anche a distanza, seppure provocato da impercettibili ed infinitesimali movimenti e piccole azioni del nostro ordinario quotidiano.
Beh, pensateci. E’ una sensazione meravigliosa e terribile al tempo stesso.
Il mio futuro, la mia vita, magari il futuro del mondo intero, è la somma di tutti noi. Che tu oggi, o io, o altri, usciamo di casa o meno, fa una differenza. Che io ora sia qui a scrivere anziché fuori... Tutto ha un peso, tutto significa, anche lo sbatter d’ali di una farfalla.
Stephen King è un mio vecchio amore, l’ho letto tantissimo quando ero più giovane, seguendo ogni sua pubblicazione e difendendolo sempre con accanimento dalle accuse di non essere uno scrittore serio. Che nessuno mi tocchi King! Ok, non sarà Dostoesvkij, i suoi romanzi rientreranno pure nella cosiddetta letteratura di genere e di evasione, ma questo non significa un bel niente perché le etichette sono solo delle esemplificazioni che servono a catalogare, a semplificare, appunto.
Ricordiamoci che pure grandissimi autori quali Richardson, Dickens, Poe, Lovecraft sono stati considerati in passato autori di genere, o comunque si leggevano per puro intrattenimento, tanto che molti dei loro romanzi e racconti più famosi uscivano a puntate, con la speranza di far aumentare la tiratura dei giornali, e addirittura - episodio che ho già avuto modo di citare - quando nella Londra settecentesca morì l’eroina Clarissa dell’omonimo romanzo di Richardson, pare che tutte le campane suonarono a morto e che ci fu quello che la Storia riconobbe come il primo episodio di delirio di massa legato ad un fenomeno di quella che oggi chiameremmo fiction.
Quindi, dire letteratura di evasione o di genere in sé non significa nulla. Può trattarsi di romanzi scritti bene, quanto male. E su una cosa non ho dubbi: King scrive da Dio (stavolta scritto con la D maiuscola), è un vero narratore capace di trasportarci dopo solo poche righe, ma che dico, solo dopo tre parole, dentro l’atmosfera, i luoghi, la testa dei personaggi della storia che sta narrando e come descrive lui l’inquietudine di certi posti, la malìa di certi ambienti, il progressivo avvicinarsi del Male e i pensieri e poi quel mondo spensierato e pieno di presagi di cose a venire - fatto di pomeriggi assolati che diventano palpabili, assaporabili, odorabili, visibili tanto da poterli sentire e parteciparvi con tutti i sensi, sì che la lettura di ogni suo romanzo è sempre un viaggio vero e proprio - ecco sì, come descrive lui e come sa narrare le storie, beh, poche chiacchiere perché pochi altri sono capaci di farlo.
E a chi dice che però i suoi romanzi non possono rientrare a pieno titolo nella letteratura alta perché mancano di simbolismi profondi, perché non contengono metafore capaci di sollevarli dal mero dato narrato contingente per elevarsi a considerazioni di respiro universale, beh, io rispondo prendendo esattamente a prestito le parole di un personaggio di quest’ultimo suo lavoro: “alle volte un racconto è solo un racconto”. Ma se è un bel racconto, un bel racconto rimane.
Alle volte un romanzo è solo un romanzo, ma il piacere che ti dà la sua lettura, quel piacere ineguagliabile che solo certe grande narrazioni sanno dare, accompagnato da quella smania di saper come va a finire, di non riuscire a staccare gli occhi dalla pagina nemmeno quando questi bruciano e si sta facendo notte fonda, quel piacere di cui ogni lettore sa bene perché se non l’avesse provato almeno una volta nella vita non sarebbe mai divenuto un lettore (e sempre quello stesso piacere si finisce per ricercare ogni volta, come una droga fantastica provata una volta e da allora sempre ricercata), quel piacere che poi, nei momenti in cui si è costretti a mettere via il libro (per riposare, per lavorare, per uscire, per farsi la doccia ecc.) diventa pienezza dentro al cuore, dapprima presenza silente che accompagna e poi urgenza sempre più invasiva da spingere al desiderio di correre a casa, afferrare il libro, aprirlo alla pagina interrotta, buttarsi sul letto, o sul divano o dove si preferisce e dimenticare tutto, ecco, quel piacere vale da solo a confermare la validità di un romanzo, che sia alta letteratura o solo puro - immensamente piacevole - intrattenimento, poco importa. Ed ogni lettore che ami davvero leggere, proprio l’atto del leggere intendo, del dimenticare tutto, del far sparire le quattro pareti della stanza in cui si è rinchiusi, dell’essere catturati dalle pagine quasi fosse la tela di un ragno e di morirvi dentro, tra le spire di una storia dalla quale non si riesce a staccarsi, non può non essersi confrontato almeno una volta con questo tipo di letteratura.
Ecco, la maggior parte dei romanzi di King regalano esperienze di questo tipo.
E l’ultimo, 22/11/’63, iniziato ieri sera, si è letteralmente impadronito di me.
Ora non dirò molto, mi riprometto di tornarci sopra quando l’avrò finito - per il momento sono arrivata circa a pag. 225 ed è un tomo di 768 pagine, quindi si può dire che sia praticamente solo all’inizio dell’avventura - per quanto già dentro anima e corpo - eh sì, anche con il corpo perché poi quando si inizia a leggere un romanzo così non si riesce, letteralmente, ad alzarsi dal divano e si finisce per restare invischiati, risucchiati in questa sorta di sospensione ed astrazione dalla realtà vera che, necessariamente, è da intendersi anche fisicamente -, ma intanto però qualche considerazione interessante (alla faccia di quelli che dicono che i romanzi di King sono banali); la trama in fondo è semplice (il che non vuol dire che lo sia poi la storia con tutta la narrazione degli sviluppi, implicazioni, conseguenze, rapporti di causa-effetto ecc., ed un buon narratore è tale solo quando sa orchestrare un intreccio che abbia poco di meccanico, di automatico, ma risulti organicamente coerente alla struttura stessa del romanzo): siamo nel 2011 ed il gestore di una tavola calda rivela ad un suo cliente, un insegnante di letteratura, un incredibile - letteralmente incredibile - segreto. Nella dispensa della tavola calda esiste una sorta di portale invisibile che permette, attraversandolo (o meglio, scendendo alcuni scalini, e come è descritta magnificamente la sensazione proprio fisica del passaggio), di tornare indietro nel tempo, esattamente al 9 settembre del 1958. In sintesi, sorvolando su tantissime cose che accadranno, colpi di scena e stupori, riflessioni vari, il gestore della tavola calda, malato di cancro ai polmoni ed ormai prossimo alla fine, chiede a Jake, il protagonista, l’insegnante di letteratura, di fare quello che lui, purtroppo, non avrà tempo di fare: ossia tornare nel ’58, attendere fino al ’63 ed impedire che Kennedy venga ucciso perché questo cambiamento nella Storia a sua volta impedirebbe l’accadere di tanti altri fatti e probabilmente contribuirebbe a salvare molte altre vite, oltre a quella del Presidente stesso. Ovviamente a queste conclusioni ci si arriva tramite una serie di ragionamenti e dettagliati riferimenti alla storia americana del periodo.
Da questo punto il romanzo è un vero e proprio tuffo nelle atmosfere della fine degli anni cinquanta, con tanto di dettagli, slang, descrizioni degli abiti, pettinature, automobili, case, strade, paesi, paesaggi, insomma, tutto ciò che serve a restituire al lettore il sapore di quel periodo e della sua cultura popolare, di quella spensieratezza ed ingenuità (e quando passa a descrivere il sapore pieno della birra di allora o della barretta di cioccolata davvero viene da schioccare la lingua sul palato), con toni quasi nostalgici derivati dalla consapevolezza di un mondo, tutto sommato, più semplice e facile da vivere.
Comunque, senza divagare ulteriormente e sintetizzando al massimo (perché comunque oggi non volevo parlare del romanzo in sé, non essendo appunto arrivata nemmeno alla metà), ad un certo punto accade che il protagonista si rende conto che la possibilità di cambiare il passato implicherebbe poi conseguenze sul futuro, conseguenze del tutto imprevidibili (il futuro è sempre quindi condizione imprevedibile, pur provenendo dal futuro stesso rispetto al 1958 perché conoscere il passato e volerlo, potendo, cambiare - e vedremo che comunque non sarà nemmeno così facile perché il passato non vuole essere cambiato - ci troveremmo di fronte ad un’imprevedibilità di conseguenze ed eventi scaturiti dal cambiamento stesso: mentre ora sappiamo esattamente cosa è accaduto negli anni cinquanta ad oggi, modificando alcuni eventi di quegli anni si modificherebbe tutto il resto) e che, maggiore è la portata dell’evento che si intende cambiare nel passato, maggiore sarebbero le conseguenze e reazioni a catena che giungeranno a formare il futuro. E fin qui, nulla da eccepire, mi pare ovvio.
Quel che è interessante, pur non essendo affatto un argomento nuovo, è la riflessione intorno alla teoria del cosiddetto “Effetto Farfalla” (proprio su questo argomento è stato realizzato anche un film molto interessante che si intitola proprio The Butterfly Effect, del 2004, di E. Bress e J. Mackye): in pratica, ogni minimo evento, anche il più insignificante quale lo sbatter d’ali di una farfalla, potrebbe, a distanza di settimane, mesi, o anni, avere conseguenze di un qualche tipo magari dall’altra parte del mondo.
Nel romanzo di King tutto ciò è ben presente sin dall’inizio nella mente del protagonista: egli sa che il tornare indietro nel tempo e anche solo il rivolgere la parola ad un passante (rallentandone il cammino, inducendolo a fare delle riflessioni, facendogli venire in mente qualcosa o chissà in quale altro modo) devia in qualche modo il corso degli eventi così che il futuro - ossia il presente in cui si trova adesso, il 2011 - potrebbe essere impercettibilmente o anche significativamente diverso da quello che è oggi.
Quindi dilemmi a non finire, preoccupazioni (potrebbe anche, mutando il passato, far sparire il locale in cui si trova il portale per tornare indietro nel tempo) e, soprattutto, l’idea di voler cambiare non solo quell’evento cardine della storia americana, ossia impedire l’assassinio di JFK, ma anche la storia personale di alcune persone che conosce e che... non hanno avuto una bella vita a causa di un evento che, lontano nel tempo, causò loro una serie di conseguenze devastanti. Tutto ciò però, ossia anche la più minima azione, sconvolge e cambia totalmente le cose. E inoltre ogni volta che si ritorna al presente e poi si decide di tornare ancora al 1958, tutto si annulla e si deve ricomiciare da capo perché è come se nulla fosse mai stato cambiato.
Ora, romanzo di King a parte, ripeto, affascinantissimo, trovo particolamente interessante questo concetto dell’effetto farfalla ed oggi ho pensato (non per la prima volta in verità) a quanto ognuno di noi, anche con la più piccola ed apparentemente personalissima ed insignificante decisione, influisca invece sul corso degli eventi del mondo intero. Mi spiego meglio: apparentemente, se io oggi resto in casa oppure invece decido di uscire, questo dovrebbe non aver alcun valore se non per me, nella mia vita (o al massimo di quella di chi mi sta vicino), ma al mondo intero... che gliene importa? Di fatto nulla. Eppure avete mai pensato quanto invece la vita di ognuno di tutti noi sia impercettibilmente connessa con quella di tutto il resto del mondo e quanto da ogni nostro singolo passo potrebbero derivare una serie di conseguenze inimmaginabili? Uscendo di casa io incontro persone, magari mi fermo a parlare con delle persone, sorrido a o saluto alcune persone, quindi ritardo o anticipo altri gesti e, in ogni caso, metto in moto una serie di impercettibili eventi; e così ognuno di noi. Siamo tutti in movimento, tutti contribuiamo a mandare avanti il meccanismo nascosto degli eventi del mondo, tutti contribuiamo a far girare le rotelle di uno sconosciuto motore, anche quando ce ne restiamo tranquillamente a casa a poltrire sul divano (e a leggere S. King, come sto facendo io da ieri sera).
Non è terribile e meraviglioso tutto ciò? Questa consapevolezza di essere parte di un tutto, di determinare con i nostri piccoli movimenti - sebbene movimenti infinitesimali rispetto agli eventi grandiosi che hanno segnato la Storia - tutta una serie di azioni e di conseguenze che faranno, saranno il futuro del mondo intero.
Io ci ho pensato spesso. Ma attenzione, non in un’accezione destinica, nel senso che tutto si mette in moto affinché si realizzi un disegno, ma proprio nella sola ed unica accezione deterministica di rapporto di causa-effetto, anche a distanza, seppure provocato da impercettibili ed infinitesimali movimenti e piccole azioni del nostro ordinario quotidiano.
Beh, pensateci. E’ una sensazione meravigliosa e terribile al tempo stesso.
Il mio futuro, la mia vita, magari il futuro del mondo intero, è la somma di tutti noi. Che tu oggi, o io, o altri, usciamo di casa o meno, fa una differenza. Che io ora sia qui a scrivere anziché fuori... Tutto ha un peso, tutto significa, anche lo sbatter d’ali di una farfalla.
(immagine: Giorgio Cara)
22 commenti:
Della trama non ho letto nulla, ma mi hai incuriosito. Ho provato solo un romanzo di King, anni fa...Lo leggerò dopo tutti quegli altri che mi aspettano, pazienti e impolverati, sullo scaffale...
Secondo me ti piacerebbe molto. Anzi, ne sono praticamente sicura. :-)
sta già iniziando l,effetto domino, perchè lo acquisterò anch,io. Maria
@ Maria
Preparati a fare le ore piccole allora, ieri sera non riuscivo a smettere di leggere e sono andata a dormire alle due passate. ;-)
E' un romanzo che ti prende subito, sin dalla prima pagina. Peraltro trovo che King sia anche molto migliorato proprio a livello anche di prosa. Era tanto che non leggevo qualcosa di suo e sono davvero felice di averlo ri-trovato con questo 22/11/'63.
Grazie per essere passata di qui. :-)
Sono stata un'accanita lettrice di Stephen King, ai tempi delle medie e del liceo, e lo amavo moltissimo. Negli anni seguenti l'ho un po' abbandonato, pur continuando a ritenerlo uno Scrittore con la S maiuscola appunto. Non è affatto vero che chi scrive letteratura di evasione e horror sia un autore minore. Dipende sempre da cosa e come scrivi. E concordo con te, King sa certamente scrivere. Oggi come oggi preferisco altri stili di narrazione (penso magari a Nabokov, che secondo me è difficilmente raggiungibile in quanto a bellezza stilistica, con la sua passione per le parole), ma è vero che King riesce a farti sentire ogni atmosfera, ogni ambiente, ogni sensazione, quindi tanto di cappello.
Mi sa che prima o poi tornerò a leggerlo, ci sono ancora un po' di suoi libri che non ho :)
Adesso sto leggendo dei racconti di Lovecraft, e come pensavo mi piace moltissimo.
Ciao Biancaneve bel post.
Il passo successivo potrebbe essere il rendersi conto che questa persona così strettamente connessa con il tutto...neppure esiste veramente in quanto entità separata.
L'idea dell'io è appunto un'idea. Un condizionamento indotto. Se si inizia e vedere che ogni cosa accade da sola, anche i pensieri e le sensazioni, anche le azioni...allora si può iniziare a vedere che in realtà non c'è nessuno che agisce o che pensa o che sente.
Terribile? Meraviglioso? Anche questi sono concetti...
La radice della sofferenza umana sta proprio nell'idea (falsa) di essere separati dal tutto.
Non si può essere separati in quanto non c'è nessuno che possa essere separato. Non c'è nessuna farfalla, nessuna Biancaneve e nessun De Spin...
@ Martigot
Mi fa piacere scoprire che abbiamo gusti letterari molto simili. :-)
Lovecraft anche è un grandissimo scrittore, pure lui bravissimo nel tratteggiare certe atmosfere e soprattutto nel descrivere un'idea di horror molto astratta, indefinita e proprio per questo ancor più terrificante.
E Nabokov sì, è un vero maestro di stile, anche secondo me inimitabile. Forse pari a lui c'è solo J. Conrad.
Oggi invece in una bancarella ho trovato una raccolta di racconti di uno scrittore inglese di nome M.R. James (da non confondersi con Henry James), intitolata "Cuori strappati", con prefazione, guarda caso, di Dino Buzzati, che così dice: "(...) I suoi racconti infatti offrono un campionario esemplare dei misteri di stile britannico(...) Non è il mistero fosco e fumigoso di Londra. E' il mistero, più sottile e penetrante, delle contrade solitarie, dei vescovadi anglicani, dei colleges carichi di tradizione e di polvere, di quel mondo incantevole che è una delle più care creazioni del popolo britannico (...) L'enigma e l'incubo scaturiscono da carte ingiallite, venerande querce, veterane magioni, buie botteghe d'antiquario, una scenografia placida e carica di dignità. Eppure. Eppure di qui scaturiscono le cose più impensabili, assurde e agghiaccianti. Sorgono da un oscuro passato le larve, riappaiono i personaggi di sepolte tragedie, vagano le oscure maledizioni di formule indecifrate...". (Dino Buzzati)
Devo dire che, avendo letto che ti piacciono le storie "strane" ed inquietanti, mi sei venuta in mente. Quando li avrò letti poi ti farò sapere.
Mi pare che di questo scrittore ne parli anche proprio Lovecraft.
Tornando invece a King, i miei preferiti sono: Cose Preziose, Dolores Claiborne, Misery, Mucchio d'ossa, Stand by Me, e credo proprio aggiungerò anche quest'ultimo che sto leggendo alla lista perché mi sta proprio piacendo molto (fatta eccezione per alcuni atteggiamenti specisti descritti, tipo che i personaggi stanno sempre a mangiare hamburger e ogni tanto si fa riferimento alla caccia come niente fosse... ma si sa che la cultura americana ha tanti lati bui, insieme ad altri decisamente più affascinanti).
@ De Spin
A volte, per brevissimi istanti, riesco a sentire questa sensazione di essere parte di un tutto.
Anche i concetti di spazio e tempo in effetti sono solo... concetti.
Speriamo un giorno di riuscire a riconnetterci con questo tutto, a non percepire più questo nostro ego così doloroso.
Forse è Montague Rhode James quello scrittore...Lo conosco di nome, e mi è capitato di leggere riferimenti a sue storie nel fumetto Dampyr, ma non ho letto niente di suo fino ad ora. Bè, la prefazione promette bene, e detto da Buzzati poi... ci fidiamo assolutamente.
Conrad è veramente un grandissimo :)
Di Lovecraft ho letto ieri sera L'Immagine nella Casa, veramente da brivido, già a partire dalla descrizione di questa casetta abbandonata tra i boschi del New England...
Già che ci sono, ti consiglio anche Daphne du Murier, non so se l'hai mai letta. Oltre al famoso Rebecca -la prima moglie, ha scritto anche lei dei racconti molto interessanti e piuttosto strani. La raccolta si intitola Gli Uccelli e altri racconti.
Molto bello anche Mia Cugina Rachele, incentrato appunto su questa donna italiana, Rachele, di cui fino alla fine non si riesce a capire se sia buona o cattiva (semplificando molto il tutto).
Un saluto :)
Sì, esatto Martigot, lo scrittore è proprio Montague Rhodes James, bravissima!
Daphne du Murier la conosco di nome, ma non ricordo di aver mai letto qualcosa di suo, a meno che non si sia trattato di molto tempo fa.
Ovviamente di Rebecca la prima moglie ho visto il film di Hitchcock, quindi conosco la storia, e infatti mi sono sempre ripromessa di leggerlo.
Di Lovecfraft a me sono piaciuti moltissimo tutti i racconti del ciclo di Cthulhu, in particolare rimasi molto colpita da quello che si intitola La maschera di Innsmouth, da cui è stato pure tratto un film niente male.
Quel che adoro è il contrasto tra la descrizione di questi paesi, con l'architettura molto tipica e poi la percezione sottile di un qualcosa di malato, di strisciante, di insinuante. Da brividi.
King piace molto anche a me, condivido in pieno il tuo giudizio su di lui. :) (Uno dei miei preferiti è Dolores Claiborne: così umano...)
Quanto alla consapevolezza che ciascuno di noi dovrebbe avere sul qui e ora, be'... è un argomento su cui sto riflettendo molto, in questo periodo. Anzi, a volte credo di diventare perfino un po' ossessiva, a riguardo. Ma anche questo (questo innamorarci di una parola, di un concetto, di un'idea) credo che abbia un significato ben preciso - qui e ora. :)
Buona giornata!
Ciao Eloisa,
mi fa piacere che anche a te piaccia King :-)
Dolores Claiborne è anche uno dei miei preferiti, insieme a Cose Preziose, Misery, Mucchio d'ossa, Stand by Me e altri.
Sto proseguendo con 22/11/'63 e si fa sempre più interessante, come ho detto a Martigot l'unico aspetto che non mi piace è che tutti mangiano un sacco di hamburger e che vi sia uno specismo sotteso evidente, ma d'altronde è ambientato anche negli anni sessanta e tutta l'atmosfera e l'ambiente vengono riportati in maniere scrupolosa e dettagliata. Si parla ancora di segregazione razziale, almeno in certi stati, quindi figuriamoci cosa dovevano pensare all'epoca degli animali.
Hai visto che oggi purtroppo è morta la nostra amata poetessa Szymborska? Se riesco le dedico due righe.
Sull'insistere in un determinato momento proprio su un concetto, parola ecc. credo che non sia mai un caso, evidentemente è un qualcosa che sentiamo la necessità di affrontare per crescere, per evolverci.
Buona giornata anche a te!
Ho letto della Szymborska! Ci credi? Dopo la morte della Merini, della Wolf e della sua... inizio a sentirmi un po' smarrita. Mancano. Ed è una fortuna che possano sopravvivere le loro parole.
Sto pensando anch'io a ricordarla in qualche modo su "Cassandra"... :)
Ci credo perché quando se ne vanno persone così speciali è come se il mondo perdesse di valore e a noi mancassero dei punti di riferimento.
A me è successo anche quando sono morti alcuni registi che amavo: Kubrick, Rohmer...
Però poi quando realizzi che grazie alle opere che hanno lasciato non sono mai davvero morti, allora un po' ci si consola.
Verrò a leggere la tua commemorazione se la scrivi, io mi sa che oggi non riesco. A parte che va bene anche nei prossi giorni...
"[...] quando si inizia a leggere un romanzo così non si riesce, letteralmente, ad alzarsi dal divano e si finisce per restare invischiati, risucchiati in questa sorta di sospensione ed astrazione dalla realtà vera che, necessariamente, è da intendersi anche fisicamente [...]"
Mi è tornato in mente un episodio recentissimo.
Lunedì il mio treno delle 11.45 aveva un ritardo di 25 minuti, così ho dovuto prendere la coincidenza successiva, il treno che transitava 10 minuti dopo, proveniente da un'altra destinazione.
Era un treno lunghissimo e vuoto, al contrario di quello che prendo di solito (sempre zeppo di gente). Questo è di quelli che puoi percorrere per intere cabine senza scorgere anima viva: di quelli che piacciono a me.
Mi sono seduto in un posto qualsiasi accanto al finestrino e dopo qualche secondo mi sono accorto che davanti a me, a due sedili di distanza, c'era una ragazza che leggeva un libro.
Avrà avuto venticinque, trent'anni ed era molto carina. Aveva il raffreddore e con la destra reggeva un libro di Agatha Christie, con la sinistra un fazzoletto di carta umidissimo. Nonostante fossimo praticamente di fronte, lei non s'era accorta che in quello scompartimento vuoto era entrata un'altra persona. Fissava il libro, zigzagando rapidissima con le pupille. Ma ciò che mi ha colpito in modo particolare è che aveva perso il controllo della sua mascella, e teneva la bocca semiaperta. S'intravedeva la lingua, era buffissima.
Bene, in quel momento mi sono innamorato.
Ecco una vera lettrice, ho pensato. La adoro, mi piacerebbe avere un figlio da lei.
Dopo dieci minuti ha alzato lo sguardo e ha incrociato il mio. Io sono come Jim Carrey in Eternal Sunshine of the Spotless Mind, e non riesco a mantenere lo sguardo di una donna incontrata per strada, perché significherebbe essere pronto per l'aggancio (e io non lo sono mai).
Ma in quel momento ero innamorato e ho tenuto lo sguardo fermo, più a lungo che potevo. Lei mi ha fissato, ha abbassato lo sguardo, l'ha sollevato, l'ha abbassato, l'ha sollevato per un tempo che mi è sembrato un'eternità.
E' stato bellissimo.
Forse comprerò una rosa e cercherò di perdere nuovamente il mio treno.
Uhm, non sono sicuro che lo farò. Però se lo facessi chissà che conseguenze potrebbe avere l'effetto farfalla.
Bellissimo questo episodio che racconti, Jo. :-)
Sembra tanto una storia da romanzo, in effetti: una ragazza che legge un romanzo ecc. (metaletterario, no?) ;-)
Magari l'effetto farfalla è già cominciato, già solo a partire da quel tuo sguardo; magari a lei, notandoti, sarà venuto in mente qualcosa che doveva fare e che aveva rimandato, magari le hai ricordato una persona che non sentiva da tempo e così le ha telefonato... chissà, infinite ipotesi.
Fossi in te la comprerei proprio quella rosa. Cos'hai da perdere? Nulla.
Magari alla rosa potresti allegare un bigliettino. Visto che ama leggere, gradirà senz'altro anche un bigliettino scritto. :-)
Accetto la sfida, a patto che sia tu a scrivere quel bigliettino.
Tu sai quale corde toccare.
Oddio... mi stai affidando una grande responsabilità. :-)
Lascia che ci pensi... ok?
Mi sforzerò di pensare cosa piacerebbe a me trovare scritto su un bigliettino, però tieni presente che io... non sono tutte le donne (insomma, ognuna ha le sue corde). ;-)
Mi fiderò pressoché ciecamente.
Ho buttato giù due righe. :-)
Vorrei mandartele in privato, ma non ho trovato il tuo indirizzo email.
La mia è: rc.magnificat@gmail.com
Se mi scrivi, così ti rispondo.
Ieri ho terminato il libro e ne sono rimasta folgorata. Non riuscivo a staccarmi dalle pagine, dove ho trovato di tutto: avventura, curiosità, dolcezza, mistero, meraviglia. Ho trovato anche una ricchezza di simbologie e di metafore attraverso i personaggi veri ed inventati incontrati in viaggio nel tempo. Che dire perfino dell'insignificante uomo della tessera gialla, che poi diventerà il giustiziere del tempo? Poi è subentrata la curiosità di approfondire i fatti realmente accaduti e di cercare di capire cos'è l'effetto farfalla. Quindi sono capitata qui, e non ho resistito dal commentare anche io questo libro entusiasmante.
Grazie per il commento!
Sì, è un romanzo molto coinvolgente, ben scritto (eh, beh, parliamo di un grande narratore), e tante volte penso che vorrei non averlo ancora letto per poterlo leggere per la prima volta. In questo momento mi ci vorrebbe proprio un romanzo così. 😄
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