mercoledì 7 dicembre 2011

Fellini, Kubrick, Hugo e la Lavastoviglie


Ho deciso che da oggi vi metterò a parte di una parte (mi si perdoni il gioco di parole) delle tanti voci che si affollano nella mia testa: non vi preoccupate, non sono schizofrenica, le voci che emettono un continuo brusio di sottofondo sono sempre le mie, tutte da me riconoscibilissime e con le quale mantengo confortevoli - e confortanti - rapporti di intima confidenza. Ci troviamo a nostro agio, insomma. Con tutte loro mi intrattengo di sovente in interminabili discussioni e riflessioni, dando vita a dialoghi immaginari che vanno dagli argomenti più frivoli a quelli più seri. Anzi, la mia specialità - ma questo mi succede anche nella vita - è di passare senza soluzione di continuità a dilemmi esistenziali del tipo: “sto meglio con i capelli rossi o scuri?” fino a “come sarebbe la vita se nessuno avesse la consapevolezza della morte” nel mentre di una rassegna mentale di tutta la filmografia di Fellini al fine di individuarne il filo conduttore e tutto questo riflettendo sull’inanità del tutto per arrivare a considerazioni sociologiche sul tempo presente (e contemporaneamente rispondendo a domande varie del tipo: “vai tu alla posta a pagare le bollette?”). Insomma, una grande confusione.
Detto questo, e senza avere la pretesa di scriverne post esaurienti, vorrei provare ad utilizzare questo spazio per raccogliere qualcuno di questi pensieri, con la speranza che possa diventare uno spunto di riflessione utile a tutti voi.
Sia chiaro: nessuna pretesa di dire cose originali, ripeto, massima libertà e permessività al flusso di una parte dei miei pensieri, una concessione che generosamente elargisco alle mie riflessioni, sempre chiuse e costrette a muoversi in sentieri spesso oscuri, permettendo loro di respirare finalmente un pochettino, senza affanno e senza fretta.
Oggi ne propongo due, giunte quasi in contemporanea, chissà per quali associazioni, mentre stavo caricando la lavastoviglie e imprecando sottovoce contro quella persona a caso (il mio compagno, ma speriamo che stavolta non mi legga) che quando prepara il sugo (sììì, tanto carino e gentile da parte sua, per carità) fa arrivare gli schizzi pure fino al soffitto. E vorrei sapere quale segreta legge chimica, o fisica o di fisica quantistica fa sì che quando il sugo lo preparo io, quello si limiti a starsene tranquillo dentro al tegame, senza strabordare, mentre come si avvicina lui, il mio compagno, inizi ad eruttare peggio della lava di un vulcano in eruzione. Mah.
La prima: l’umanità, checché se ne voglia dire e si voglia parlare di evoluzione, secondo me non ha imparato un bel niente. L’altra sera ho visto il Satyricon di Fellini - un’opera maestosa che consiglio veramente a tutti - e mi sono stupita di quanto le varie situazioni mostrate e relative all’epoca tarda romana avessero delle profonde analogie con quella di oggi. Certo, Fellini vi avrà aggiunto considerazioni sue personali, rilevando egli stesso delle analogie relative alla sua, di epoca, ma questo conferma a maggior ragione che le medesime osservazioni che aveva potuto fare lui relativamente al suo periodo (anni sessanta - settanta, il film è del 1969) sono possibili ancor oggi, dimostrando quindi che... passa il tempo, ma nulla cambia.
Quindi ho pensato che in effetti basta anche leggere qualsiasi classico (tragedie greche, shakespeariane, poeti latini, autori come Dostoevskij, Gogol, Checov, Mann, Hugo, Leopardi, Dante, Boccaccio e chi più ne ha più ne metta) per rendersi conto di quanto sia facile prendere una loro opera, cambiarne la data di ambientazione e trasferirne il contenuto ai giorni nostri senza che il senso o il significato ne venga minimamente cambiato. Questo che vuol dire? Non solo che le opere classiche, trattando tematiche e problematiche esistenziali ed universali non tramontano mai, ma anche che, forse forse, l’umanità sempre la medesima rimane. Non cresce e non crepa! Come si suol dire! Non impara. Aggiunge tecnologia, ma, al pari dello stacco in cui un osso viene trasformato in navicella spaziale in “2001: Odissea nello Spazio”, noi siamo rimasti i medesimi scimmioni che si esprimono a grugniti. Solo più crudeli, avendo affinato le tecniche. Il che spiegherebbe anche il nostro accanimento come specie che vuole dominare tutte le altre.
Il monolite che appare allora non è per niente la sapienza, la conoscenza. E’ solo l’avanzamento tecnologico. Forse il linguaggio, che ci ha permesso come specie di evolverci. Forse è solo una maledizione.
La riflessione poi si interrompe. Si perde nel nulla. Se vi va, riacchiappatela voi. E del resto non è una delle più nuove. Sono anni che puntualmente vado sostenendo, dicendo, scrivendo le stesse cose a proposito.
Detto ciò, passiamo alla seconda: a quel vizio tutto umano che è l’ingratitudine.
E al paradosso che si verifica quando si ha la tendenza ad essere una persona gentile e generosa.
Avete presente? Quelle persone che non dicono mai di “no” e che poi ad un certo punto però si accorgono che qualcuno si sta approfittando di questa loro naturale inclinazione. E allora dicono basta (non avendo evidentemente maturato a sufficienza l’istinto da “crocerossina”). E a quel punto passano per essere degli stronzi. Ma come? Osi dirmi di no? Tu, proprio tu che non mi hai negato nulla, improvvisamente mi dici di no!? Ma come sarebbe? Ed io che credevo di poter contare su di te (ad libitum)! Sai che ti dico? Sei uno stronzo!
Ecco, io questa cosa non l’ho mai capita. Spiegatemela voi.
Cioè, io ti ho dato una mano, e pure un braccio, e alla fine ti sei presa anche la mia gamba destra, poi la sinistra (ed io sempre zitta), e poi quando ho osato esprimere una piccola obiezione nel momento in cui mi sono resa conto che volevi arrivare a prendermi anche la testa, che fai, mi dai della stronza? Anziché dirmi, ok, non importa se stavolta non puoi, apprezzo comunque quello che hai fatto fin qui per me, mi dai della stronza?
Ecco. Succede più o meno così.
E allora mi è venuto in mente il personaggio de L’uomo che ride di Victor Hugo (straordinaria opera che tutti dovrebbero leggere), tale Barkilphedro, il quale, in un capitolo, si esprime proprio a proposito dell’ingratitudine, rilevandovi la causa nella sgradevolezza della posizione in cui si verrebbe a trovare il beneficiato. Secondo Barkilphedro ricevere aiuto equivale a contrarre una sorta di debito eterno, per cui dietro l’apparente generosità di chi dà, si nasconde la volontà di sottomettere, rendere schiavi: “Un’elemosina è irrimediabile. La riconoscenza è paralisi. Il bene che vi vien fatto ha un’aderenza vischiosa e ripugnante che vi toglie ogni libertà di movimento. Gli odiosi esseri opulenti e impinzati che hanno infierito su di voi con la loro pietà lo sanno. E’ fatta. Ormai appartenete a loro. Vi hanno comprato. Per quanto? (...) Dunque, ringraziate. Ringraziate in eterno. Adorate i vostri padroni. Genuflessioni infinite. Il beneficio che vi è stato fatto implicita un tacito sottinteso di inferiorità da parte vostra. Esigono che vi sentiate un povero diavolo e che li giudichiate Dèi. Il vostro degradarvi li innalza.” Ecc. ecc. (da L’uomo che ride di V. Hugo, pag. 274 ed. Oscar Mondadori).
Per certi aspetti non nego che ci sia un certo fondamento di verità.
Fare del bene spesso ha molto più a che fare con l’accrescimento del proprio ego che non con una reale spinta altruistica (!).
Però non dobbiamo prendere le parole di Barkilphedro alla lettera, in quanto Hugo, ne L’uomo che ride adotta spesso lo stilema retorico dell’antifrasi: intende cioè dire l’esatto contrario di quanto va affermando. E lo stesso intero romanzo va interpretato in questa maniera. Gwynplaine stesso, il protagonista, avendo il volto deformato da un ghigno che ne atteggia l’espressione ad un eterno sorriso è in realtà una figura tragica; o meglio, una figura che non appartiene a questa terra. Il suo posto è altrove, insieme a Dea. Eppure egli si trova a sperimentare ogni condizione e vicenda umana possibile.
Tornando all’ingratitudine, deve esistere qualche altra segreta motivazione che rende la gente sempre più avida di richieste; un po’ come accade nel villaggio di Dogville, in cui tutti gli abitanti esigono e pretendono sempre di più dalla povera Grace. Fino a che non si ribella. Ma lì l’allegoria è un’altra (non disperdiamoci però, questa la blocco qui sul nascere).
Quello che volevo dire è che trovo strano che poi la gente si stupisca nel momento in cui, per qualche ragione, non è più possibile assecondarne le richieste. E da quel momento colui che prima era un santo diventa improvvisamente un mostro, una persona cattiva. Cos’è questa, ingratitudine?
Senso di inadeguatezza perché nel momento in cui si interrompe il flusso dell’elargire la figura del benefattore viene ridimensionata e ridefinita nel semplice ruolo di “creditore” (seppure il benefattore non ha mai chiesto nulla in cambio e dato sempre con il cuore)? Forse, colui che riceve, sentendosi in colpa reagisce come colui che ha ricevuto un morso anziché una carezza?
Non saprei.
Io ho imparato a chiedere e a dare. Quando ricevo, ringrazio, senza per questo sentirmi ulteriormente in debito. Quando do, mi basta un semplice grazie.
Per oggi mi fermo qui. La lavastoviglie sta ancora andando. Anche i miei pensieri. Ma la mano non ce la fa a stargli dietro. Sono stanca.

12 commenti:

strega reticente valverde ha detto...

Ciò che scrivi è molto vero...ma non riesco a replicare in modo degno ,visto che il mio unico neurone caldo di febbre è lì che vortica come un criceto sulla ruota!;(
Posso solo commentare la storia del sugo (e aggiungere un altro quesito) ..il fenomeno forse fa parte delle "attrazioni" magnetiche!che evidentemente il tuo compagno proietta sul sugo!
Mio quesito:perchè quando indosso una nuova-pulita maglietta di cotone bianco e poi vado a cucinare ..il sugo (deve essere parente)si appoggia sulla maglietta ,sempre , dico sempre!?Mentre se sono vestita con vecchi stracci-succede- il sugo sta buono nel pentolino? Sempre attrazione secondo me! e ovvio: MAI più indossare maglie nuove e cucinare!;D
cioa cara e scusa il commento bislacco
val

Rita ha detto...

LOL

Cara Val, mi ha fatto morire dal ridere il tuo commento :-D
Il sugo ha un magnetismo portentoso, c'è poco da fare. Magnetismo esclusivamente rivolto su magliette pulite e bianche e su uomini che si dilettano in cucina; no, ma tu non hai idea di dove abbia trovato oggi gli schizzi di pomodoro, ma in posti improbabili, roba che se avesse voluto farlo apposta secondo me non ci sarebbe mai riuscito. Ma Tant'è.
Io la febbre non ce l'ho più, ma sono ancora senza voce (oggi, sempre lui, il mio compagno, mi ha detto: "ma se rimane così non è male, ti trovo più sexy" - "sì" - ho risposto io - "ma non hai idea di quanta fatica faccia per tirare fuori qualche suono. E va bene cercare di essere sexy, ma a costo pure di rinunciare alla voce, mi pare un po' troppo").
Insomma, potrebbe andar meglio, in compenso non è andata perduta la mia solita grafomania ;-)

Un bacio agli animaletti :-)

Emmeggì ha detto...

Ciao grafomana senza voce (e se ti venisse una tendinite al braccio come la metteremmo?!? ;-)). In merito al post, hai mai sentito parlare della "teoria del dono"? E' di un antropologo francese, Mauss, e poi anche Galimberti ne parla. Molto interessante, secondo me, la questione dei Potlac, la distruzione del surplus...Io invece mi dovrei leggere qualche classico in più, non solo quello che hai citato e che mi sembra imperdibile...

Rita ha detto...

Ciao Emmeggì :-)

In realtà no, non ho mai sentito parlare di questa "teoria del dono" (vale se vado a dare una sbirciata su wikipedia?).
Stasera però, a proposito di doni, ne ho ricevuti due: visto che stavo poco bene il mio compagno mi ha portato l'edizione americana di 1Q84 (sì sì sì, trovato in libreria: non sai che bella edizione, pure illustrata, contiene tutte e tre le parti, e quindi tra poco andrò nuovamente ad incontrare i miei nuovi amici Tengo ed Aomame), e poi - visto che lo chiedevo da mesi - il cofanetto della prima serie di Lost, che non ho mai visto in tv ma visto che se ne è tanto parlato, sono curiosa di vedere.
Ho finito ora di vedere le prime due parti dell'episodio pilota. La storia comincia a farsi misteriosa, è girato bene, dialoghi un po' banalotti però, insomma, siamo nello standard delle serie. Alcune cose molto, come dire, troppo improponibili: quasi tutti belli e fighi... hmmm... vabbè. Staremo a vedere.
Tu l'avevi vista? Non dirmi nulla però eh.
L'uomo che ride di Hugo devi assolutamente leggerlo. Imperdibile. Dici bene.
Ora vado a cercarmi qualcosa sulla teoria del dono ;-)
Non si finisce mai di apprendere nuove cose, eh ;-)

Rita ha detto...

Ah, massì, come no...
Certo che ne avevo sentito parlare, ho studiato Malinowski e il rito del Kula. E poi in effetti, avendo letto qualcosa di Levi-Strauss, ora che ci penso non mi è del tutto nuova.
Comunque ora approfondisco, eh.

Rita ha detto...

Dunque, sì, ho letto qualcosa.
Interessante. Interessante da mettere a confronto invece con il nostro sistema di mercato. E soprattutto capire se e quando anche nella nostra società agisce qualcosa di simile quando ci si scambiano favori. Capire l'importanza che possa avere a livello di collante sociale.
Quello che c'è di sbagliato nella nostra società è l'enorme sperequazione. Non c'è equilibrio tra dare ed avere.
Ovviamente bisognerebbe leggere tutto il saggio per capirne qualcosa di più. Tu l'hai letto?

Dinamo Seligneri ha detto...

In realtà di dono c'è davvero poco, sia nelle isole Trobriand che presso gli "indiani" di Boas (Mauss, se non ricordo male, attinge esempi da Malinowski e da Boas).
E' importante, nel saggio, il concetto di reciprocità che si compone di tre momenti fondamentali: dare, ricevere e restituire.
E' questo che rende possibile la società. Nell'esempio che Mauss prende da Malinowski sulle popolazioni delle Trobriand (dal famoso libro "Gli argonauti del pacifico occidentale") c'è un piccolo ricatto "spirituale" dietro le collanine che i trobriandesi si vanno regalando di isola in isola, c'è il Kula, cioè lo spirito della Reciprocità, che obbliga le persone a corrispondere. Il pretesto di questo viaggio sono le collanine da scambiarsi, ma in realtà "sottobanco" i trobriandesi si scambiano prodotti e merci preziose per il loro sostentamento.

Invito soprattutto a leggere, come dice Biancaneve, Levi-Strauss, tra gli antropologi. Vieppiù nei suoi studi sulla parentela. E' lì davvero il mito fondativo delle società umane.
La società umana si genera dalla creazione culturale del tabù dell'incesto, che risulta indispensabile per creare (torniamo sempre al punto) la Reciprocità tra uomini di un clan/famiglia con altri uomini di altri clan/famiglia: il tutto porta allo scambio delle donne. E quindi all'esogamia.
Per sottrarre al caos la riproduzione e la conservazione della specie, l'uomo si impone (secondo lignaggi e rapporti di parentela i più disparati) di non toccare determinate donne; questa prescrizione vale anche per le altre famiglie. In tal modo, una famiglia assicura delle donne da matrimonio quindi dà la possibilità dello scambio; riceve da un'altra famiglia questa possibilità; e restituisce, in una circolazione compiuta di esseri umani collocabili.
Da qui nasce la socità, dal principio della Reciprocità. Inizialmente con l'obbligo di non poter aver rapporto con alcune donne del proprio nucleo, così da poterle rendere appetibili allo scambio.
Fa specie (in tutti i sensi) ma era così.
Con Strauss cade anche l'ultimo grande mito naturale dell'incesto (c'entra niente la consanguineità), anch'esso alla mercé della cultura.

Quindi Biancaneve, i rapporti dovrebbero rimanere sempre di reciproca convenienza, ma non è quasi mai così, specie quando uno dei due contendenti ha più classe e liberalità dell'altro... classe che spesso coincide con amputazione e cannibalizzazione di mani, arti, piedi, testa e ossa...
ciao

Rita ha detto...

Ecco, quando leggo queste cose si risveglia tutta la mia passione per lo studio dell'antropologia culturale.
Grazie infinite Dinamo per l'interessante spiegazione ed approfondimento che ci hai "donato" (vedremo di ricambiare con qualcos'altro, eh, per restare in tema) ;-)
Di Levi-Strauss ho letto i testi sui miti e sull'antropologia strutturale. Non conoscevo quelli sugli studi parentali.
Avevo letto però qualcosa a proposito della funzione sociale del tabù dell'incesto come garante per mantenere vivi gli scambi tra diversi clan. In effetti ha un senso. Pure se oggi a noi in effetti resta difficile intenderlo come forma di organizzazione primitiva sociale.

lavatrici industriali ha detto...

Bello!!

Rita ha detto...

LOL
Lavatrici industriali, suppongo che tu sia stato attirato qui dalla lavastoviglie ;-)
Bellissimo, in effetti!

Massimo ha detto...

In effetti quello del dono è un concetto interessante. Il dono, ho letto, non ricordo dove, ha valore solo, quando doniamo qualcosa di essenziale per noi. Allora diventa sacro da "sacer" diviso, separato, non facente più parte dello scambio di cose comuni.
Da qui si passa a tutta l'etica-estetica del sacrificio religioso che è un modo di esorcizzare il terrore primitivo e placare gli déi ...
In sostanza all'origine dell'ingratitudine umana c'è forse l'incapacità di essere all'altezza del dono ricevuto ... si è ingrati perché si sente oscuramente, che il dono ci impegna a qualcosa di più grande, qualcosa che va oltre noi ... non parlo, naturalmente dei regali di natale ...
Da qui nasce l'etica estetica di Bataille della "dissipazione", del dono di sé senza limiti, senza ricompense, un gettarsi via che manifesta la nostra assoluta "sovranità" su noi stessi..
Vabbé sto fondendo con la zucca ...
Buon Natale
PS L'Uomo che Ride è meraviglioso ...
I primi capitoli dove si descrive la fuga di Gwynplain dai comprachicos, il cane Homo, il naufragio dei comprachicos ...
QUella retorica ottocentesca eppure così moderna ...
Hugo è hollywoodiano, ma in senso buono
Ciao Massimo

Rita ha detto...

Ciao Massimo :-)
Interessanti le tue considerazioni sul dono.
In un certo senso posso arrivare a comprendere il sentimento spiacevole del "sentirsi in debito con qualcuno" per aver ricevuto qualcosa, il non sentirsi all'altezza ecc., però in molti casi io ho proprio notato che l'ingratitudine si manifesta solo ed unicamente nel momento in cui si interrompe il flusso della donazione: fino a che il ricevente continua a prendere allora va tutto bene, ma nel momento in cui gli si dice "basta, questo non posso farlo", allora si scatena la sua ingratitudine.
Se non ricordo male in alcune culture arcaiche il salvare la vita a qualcuno pone a carico del salvatore l'obbligo di mantenere il salvato per tutta la vita. Allora potrebbe darsi, in grado minore, che anche tra chi dona e chi riceva si venga ad instaurare un simile vincolo.
Il dono di sé senza limiti di cui parla Bataille credo che, per quanto nobile, venga considerato una patologia ;-) In ogni caso, una vertigine che conosco un poco.
Argomenti interessantissimi comunque.
Eh sì, "L'uomo che ride" è un testo modernissimo, uno dei romanzi più affascinanti nella storia della letteratura.
Hugo sì, come anche Dickens, è esageratamente ricco di pathos, eccessivo, grande tanto nei pregi quanto nei difetti, ed è questa la sua grandezza.
La parte che preferisco è quella in cui Gwynplaine bambino distrutto dalla stanchezza, fame, freddo, trova Dea e la salva. E entrambi, dopo quell'incontro, salvano a vicenda le loro vite.