Con questo suo ultimo lavoro il regista canadese David Cronenberg conferma la sua predisposizione verso un cinema profondamente intellettuale ed indirizzato a quella che, sin dai primi esordi sperimentali, resta una ricerca costante in continua evoluzione: il connubio inscindibile tra corpo e mente.
Ad un artista da sempre così attento alle mutazioni dell’essere umano - tanto nei suoi esiti fisici quanto in quelli di natura psicologica - immerso ed a contatto con una realtà di cui, peraltro, non dimentica mai di sottolineare l’impossibilità a stabilirne uno statuto ontologico effettivo, certamente non sarà sfuggito l’antecedente causale di quella rivoluzione, prima medico-scientifica, poi culturale, che a partire dagli inizi del novecento, tenta di definire il ruolo che il nostro inconscio svolge nella genesi delle più svariate patologie, mentali e non. Certamente l’antecedente causale è dato, ed universalmente riconosciuto, dagli studi di Sigmund Freud, definito non a torto Padre della Psicanalisi, ma nella storia della stessa forse l’evento ancor più significativo e quello che ha permesso di ampliare le basi di un metodo cui Freud forse - con il senno di poi - si sarebbe attenuto un po’ troppo rigidamente e schematicamente, rischiando così di far implodere in se stesso l’enorme potenziale della sua scoperta, è stato l’incontro con il giovane Carl Gustav Jung, all’epoca - siamo agli inizi del primo decennio del novecento - medico in un ospedale svizzero, sua patria natale, e con una paziente di quest’ultimo, Sabine Spielrein - in seguito anch’ella divenuta medico psicanalista, apportando importanti contribuiti alla materia, soprattutto in merito alla teorizzazione del concetto, poi in seguito rielaborato e ridefinito da Freud, della Pulsione di Morte.
E’ di questo straordinario incontro che parla A Dangerous Method, con Viggo Mortensen, straordinario nella mimica e nella trasformazione fisica, eccellente interprete del Professor Freud; Michael Fassbender, credibilmente calato nelle vesti e nei turbamenti sentimentali e sessuali del giovane Jung; Keira Knightley, in una convincente, quanto difficilissima, prova attoriale nel ruolo della giovane Sabine Spielrein; Vincent Cassel, in un piccola ma molto significativa parte in cui interpreta il medico Otto Rank, amico, collega e, a causa di un temperamento nevrotico, anche paziente sia di Freud che di Jung. Più altri attori, più o meno comprimari, come la bellissima Sarah Gadon, nel ruolo della moglie di Jung.
L’intero film, per quanto si sviluppi apparentemente su un impianto quasi teatrale in cui a predominare sono i dialoghi, mostra un’elaborata struttura formale in cui la forza visiva non si limita semplicemente a sorreggere una ricca dialettica, resa ancor più viva peraltro dall’alternanza triangolare, bensì conferisce una vera e propria lettura in chiave oltretutto simbolica - e del resto qui non potrebbe essere altrimenti - oserei dire anche psicanalitica.
David Cronenberg si muove, come sempre, su un duplice piano narrativo: se da una parte racconta la fin nota storia della stima reciproca tra Jung e Freud, poi sconfinata in un dissidio ed allontanamento reciproco a causa della divergenza in merito ai limiti da rispettare per mantenere l’oggetto dei loro studi entro i confini stabiliti dalla scienza, dall’altra - con un’enfasi che ricorda lo sconfinamento emotivo nel mondo asettico della clinica dei fratelli Mantle in Inseparabili - con il solito occhio indagatore da entomologo (nota è la passione di Cronenberg per gli insetti, sicché più volte egli stesso si è pregiato dell’analogia tra il suo cinema e l’entomologia: il primo, tramite l’occhio della cinepresa, indaga sui misteri dell’esistenza nelle sue declinazioni del rapporto tra l’uomo e la realtà, il secondo, tramite il microscopio, osserva il mondo misterioso degli insetti), mette a nudo le passioni, le pulsioni, le gelosie, finanche le nevrosi che, anziché distrarre dalla serietà di una vita dedicata all’impegno professionale ed agli studi, lo arricchiscono e ne esaltano il valore.
In A Dangerous Method, Freud e Jung non sono soltanto due medici che cercano di confrontare le rispettive posizioni, ma sono anche due uomini, uno più anziano, l’altro giovane, che - come un padre ed un figlio simbolici - si fanno portatori - con una vivacità e finezza dialettica senza pari - di due contrastanti teorie psicanalitiche a riflettere una duplice visione della vita.
Non è un caso che tutte le scene che introducono Sigmund Freud partano sempre da un oscuramento dello schermo, reso tale dal totale del personaggio ripreso di spalle ad invadere lo schermo e che si svolgano poi sempre sullo sfondo di una scenografia rigorosamente geometrica (il suo studio, delimitato e chiuso, interno quasi opprimente, dai rettangoli della scrivania e delle librerie stracolme di libri, primi piani di sghembi virtuosismi tecnici, il giardino viennese in cui il Prof. Freud ama passeggiare, ornato da siepi ed aiuole di stile settecentesco), mentre quelle con Jung e Sabine si aprono su laghi, mare, boschetti e giardini più selvaggi, a simboleggiare un’apertura mentale che ama spaziare oltre gli stretti confini della scienza.
Se le prime - mi riferisco alle scene con Freud - stanno a significare, ed a rendere visivamente, lo spirito estremamente razionale e rigido di Freud, fermamente ancoràto alla sua teoria del trauma di natura sessuale a cui far ricondurre ogni disturbo, malattia o comunque deviazione da quello che dovrebbe essere uno sviluppo psichico “sano” della persona in cui è da riconoscere il principale e fondamentale motivo di nevrosi a causa della tabuizzazione e rimozione delle pulsioni sessuali che si rendono “necessarie” nella nostra società, le seconde - quelle in cui appare Jung - suggeriscono invece il carattere di quest’ultimo, più aperto ad altre possibilità e teorie, convinto che sia deleterio e limitante applicare ai pazienti una schematizzazione così forzata e rigida delle teorie di Freud. Una mente, quella di Jung, più aperta dunque alle infinite manifestazioni di una realtà che resta, per sua natura, sfuggente e non del tutto conoscibile, sospesa in un mare di teorie (“più vicino a Galileo Galilei, convinto che l’universo non poggi su un unico perno”) incline ad ipotesi che sfiorano il misticismo, il paranormale, con una concezione della guarigione del paziente non destinata a restare sul solo piano clinico, ma esistenziale.
Interessante, a questo proposito, lo scambio in cui Jung dice a Freud: “tu vuoi mostrare al paziente la sua malattia, come un rospo spaventoso che se ne sta nell’angolo di una stanza, io invece voglio potergli mostrare tutto ciò che egli potrebbe diventare”.
Significativo il fatto che Freud, in presenza del giovane Jung, abbia sempre un sigaro acceso in mano - evidente simbolo fallico - proprio a simboleggiare la sua autorità paterna, alla quale - seppure in chiave professionale - teneva in particolar modo (tanto di rifiutarsi di raccontare a Jung un suo sogno proprio per paura che la sua autorità potesse essere minata o messa in discussione), così come singolare è il fatto che invece l’allievo-figlio Jung, invitato a mangiare a casa del padre-Freud, si serva riempendosi il piatto in maniera spropositata, a rimarcare il bisogno primario di essere nutrito, allevato, cresciuto per poter poi diventare, una volta sazio, autonomo ed indipendente. Come sempre, in Cronenberg, ogni particolare è sintomo di qualcosa.
E simbolico è allora anche il sogno che Jung racconta a Freud, quello in cui immagina se stesso come un cavallo appesantito da un tronco che deve trascinarsi dietro e da vari ostacoli che gli si frappongono davanti: i vari ostacoli sono certamente, come ben interpreta Freud, la famiglia, i figli, ma il tronco è un evidente simbolo di un’eredità - quella che gli verrà lasciata dal padre-maestro - pesante da sostenere.
Ogni immagine, ogni scena, ogni parola di ogni dialogo acquisiscono una valenza di chiara matrice psicanalitica, tale da rendere A Dangerous Method, non solo un film sulla nascita della psicanalisi, ma un vero e proprio trattato di psicanalisi, parente stretto quindi di quell’altro capolavoro, ancora sulla malattia mentale, che è Spider.
Non solo: se, come evidenzia Sabine Spielrein nel momento in cui arriva alla teorizzazione del concetto della Pulsione di Morte, la vera sessualità è tentativo di distruzione dell’ego, distruzione dalla quale emerge una pura forza, dirompente e creatrice, siamo allora molto molto vicini al discorso di Vaughan in Crash: “il rimodellamento del corpo ad opera della tecnologia non è ciò che mi interessa veramente, quello è un discorso buono per distrarre le masse; in realtà il mio interesse per gli incidenti stradali è legato alla fertilità anziché alla distruzione, è una liberazione d'energia sessuale che trasmette la sessualità di quelli che sono morti con un'intensità che è impossibile in ogni altra forma”, confermandosi quindi, A Dangerous Method, a dispetto di quelli che lo hanno definito il film meno cronenberghiano di Cronenberg, l’ennesima invece rielaborazione di quelle che sono le sue tematiche ossessive di sempre.
In conclusione: un film apparentemente molto cerebrale ma che lascia emergere, poco a poco, queste tre figure, questi tre personaggi che tanto hanno apportato al novecento ed a cui non solo la scienza medica ma anche il cinema e la letteratura sono debitori, personaggi che si scoprono fragili, preda delle medesime passioni, nevrosi, pulsioni autodistruttive che essi stessi ambivano ad analizzare, curare, infine guarire; dell’incontro e lo scambio di questi tre personaggi, Cronenberg racconta quindi non solo i loro successi professionali, prodotti anche sull’onda emozionale e vivificatrice della complessità dei loro caratteri e della loro relazione - anche di natura sentimentale e sessuale tra Jung e Sabine -, ma, soprattutto, il percorso verso la conquista di una maturità e di una saggezza che pone il film nella giusta prospettiva dalla quale partire per una riflessione sulle umane passioni, capace di andare oltre il mero oggetto del tema della psicanalisi e fino ad arrivare ad un’indagine sulle ferite cui l’essere umano è soggetto e dalle quali, per tutto il corso della propria esistenza, cerca disperatamente di guarire. Cos’altro è infatti la psicanalisi se non il tentativo di guarire dai traumi che l’esistenza stessa ci procura?
E chi, se non un medico che è stato a sua volta ferito, potrebbe aiutarci a guarire?
Per questo A Dangerous Method non è solo il racconto, dal piglio fortemente intellettuale, dell’incontro tra Freud, Jung e la loro paziente, poi collega Sabine, ma è soprattutto uno sguardo profondo sulle ferite della nostra anima, osservate dall’occhio attento, ma sempre partecipe e mai del tutto distaccato, del grande David Cronenberg.
6 commenti:
Beh, lo credevo un film noioso, ma a leggere quello che hai scritto mi hai fatto un po' cambiare idea... Va beh, anche io scema l'ho giudicato solo dalla copertina (non avendo la tv non ho visto il trailer e non avevo molta voglia di cercarlo su internet) E poi capperi non è lo stesso regista di quel film con Viggo (come qui)... History of Violence? Quello era TROPPO serio... Dai, lo guardo e poi ti dico che ne penso :D
Ciao Volpina :-)
Beh, per alcuni potrebbe essere pure un film lento e noioso, di certo non è un film commerciale e non aspettarti scene d'azione ;-)
E' basato tutto sui dialoghi e sull'estetica delle scene, delle singole inquadrature.
Secondo me l'interesse per questo film nasce anche se c'è comunque di base un interesse per l'argomento che tratta (appunto la psicanalisi e l'incontro tra Freud, Jung e la Spielrein), pure se, come ho scritto, lo si può considerare anche come una parabola di certi aspetti dell'essere umano (delle scelte che si è costretti a compiere, della passione per il proprio lavoro e di quanto tutto - a livello di incontri e di singole esperienze - alla fine influisca non solo sul lavoro stesso, ma sulla propria esistenza).
Sì, Cronenberg è lo stesso regista di A History of Violence ed è uno dei più grandi registi esistenti.
Altri suoi film che ti consiglio (diciamo "obbligatori" per avvicinarsi a questo regista) sono: Inseparabili, Crash, eXistenZ (scritto proprio così, con la "e" iniziale e la "z" finale minuscole), Videodrome, La Promessa dell'assassino, Spider.
Tornando a A Dangerous Method, sicuramente la copertina, ma nemmeno il trailer se è per questo, gli rendono giustizia.
Grazie per essere passata a trovarmi (ho notato che non ti ho ancora aggiunta sui blog che seguo, ora provvedo subito, una "volpina vegana" non può di certo mancare).
LA PROMESSA DELL'ASSASSINOOOOOOOO! L'ho visto!! Troppo bello...
Beh, visto che mi piace un sacco come scrivi e come descrivi le cose, mi guarderò tutti gli altri film che mi hai citato e ti dirò cosa ne penso!
E invece di Takeshi Kitano cosa ne pensi? Ho visto molti dei suoi film e da alcuni sono super affascinata...
Spero di risentirti, passa quando vuoi, come sempre sentirti per me è un enorme piacere! Un abbraccio( e un buona visione :D)!
Beh, Kitano è un altro dei miei registi preferiti (se non erro ho messo Dolls tra i film che ho amato di più, e se non l'ho fatto vuol dire che me ne sono dimenticata, dopo vado a controllare).
Di lui mi è piaciuto tanto anche L'estate di Kikujiro, Hana-Bi e Zatoichi.
Cronenberg è un regista molto particolare, se ti piace Kitano secondo me apprezzerai anche i suoi film (non perché siano simili, si tratta di sensibilità e culture completamente diverse, ma per la visione originale che entrambi hanno del mondo e per l'intelligenza delle loro riflessioni).
Grazie per tutti i complimenti che mi fai :-)
Un abbraccio a te e a presto. E ovviamente sarò felice di conoscere il tuo parere dopo che avrai visto i film.
gran bella recensione. apprezzo cronenberg ma questo film ad istinto non mi convince.
kitano: bellissimo l'estate di k. a me è piaciuto molto anche sonatine.
un saluto
Ciao Eustaki,
dal trailer nemmeno a me convinceva molto, però mi sono fidata di Cronenberg, in un certo senso sapevo che difficilmente mi avrebbe deluso ;-)
Sto attenendo con ansia anche il suo prossimo film: Cosmopolis.
Un saluto a te.
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