Questo post è dedicato alla memoria della gatta Pallina, decana di casa, che è morta il 29 giugno alla veneranda età di vent'anni, e forse più: era già adulta quando si presentò alla porta di casa del mio compagno all'inizio degli anni '90.
In passato mi è capitato spesso di discutere con amici e conoscenti della mia scelta di essere vegetariana; ormai, fortunatamente, capita molto di rado (con gli amici intendo), in quanto con loro la questione è stata affrontata sotto molteplici punti di vista e resta ben poco da aggiungere. Quando andiamo al ristorante insieme io scelgo dal menu i piatti che non contengono carne e pesce e loro continuano tranquillamente ad ordinarsi le loro bistecche sanguinolente, i loro frutti di mare appena pescati e così via. Io faccio finta di niente. Loro pure. In fondo non è che ogni cena fuori può diventare un’occasione per mettersi a discutere delle ragioni dell’antispecismo, a volte, persino ad una persona generalmente molto presente a se stessa quale sarei io, può venir voglia semplicemente di mollare gli ormeggi e lasciarsi andare alla deriva spinta dall’eb-brezza di un buon calice di vino - rigorosamente rosso (ché il bianco non mi piace).
In passato mi è capitato spesso di discutere con amici e conoscenti della mia scelta di essere vegetariana; ormai, fortunatamente, capita molto di rado (con gli amici intendo), in quanto con loro la questione è stata affrontata sotto molteplici punti di vista e resta ben poco da aggiungere. Quando andiamo al ristorante insieme io scelgo dal menu i piatti che non contengono carne e pesce e loro continuano tranquillamente ad ordinarsi le loro bistecche sanguinolente, i loro frutti di mare appena pescati e così via. Io faccio finta di niente. Loro pure. In fondo non è che ogni cena fuori può diventare un’occasione per mettersi a discutere delle ragioni dell’antispecismo, a volte, persino ad una persona generalmente molto presente a se stessa quale sarei io, può venir voglia semplicemente di mollare gli ormeggi e lasciarsi andare alla deriva spinta dall’eb-brezza di un buon calice di vino - rigorosamente rosso (ché il bianco non mi piace).
Capitano però quei giorni in cui invece si ha voglia di menare - figurativamente, si intende - le mani, e allora è tutto un continuo puntualizzare e polemizzare. Mai per prima, eh. Però non mi si deve rompere i cosiddetti ***, altrimenti inizio con uno di quei pipponi che non si sa quando finiscono ( e SE finiscono, soprattutto).
Insomma, una delle ultime - ma anche una delle più note ed ormai obsolete - frasi che mi sono state rivolte ultimamente è stata questa: “sì, ok, tu hai fatto la tua scelta, ed io la rispetto, ma tu devi rispettare la mia, eh, a tavola mi piace la democrazia”.
Il dialogo si è svolto più o meno così: (IO sono io, e X sta per la persona X che era seduta a tavola di fronte a me; per inciso, non un’amica, soltanto una conoscente).
IO - ma di quale democrazia stai parlando, scusa? Guarda che se agli animali venisse chiesto di votare se essere mangiati oppure no, voterebbero sicuramente NO. Qui siamo in assenza totale di democrazia, perché poi, alla fine, i veri soggetti della questione non siamo TU ed IO, ma TU e gli ANIMALI, che qualcun altro ha ucciso e macellato al posto tuo affinché il tuo palato possa essere gratificato.
X - seee... vabbè.... mo’ ce manca che pure gli animali vanno a votà, e poi stamo freschi, stamo (sic!)
IO - (in silenzio, resto in attesa di sentire il resto del discorso che, invero, penso già di conoscere a memoria).
X - lo sai che c’è Rì (per chi non lo sapesse, e mi spiace deludervi, non mi chiamo Biancaneve, ma Rita), che già ce stanno tanti problemi al mondo, e gli animali sì, lo so che soffrono pure loro, ma uno a un certo punto deve pure scegliere, io, ecco, se proprio avessi tempo da perde’ allora sceglierei di aiutare qualche bambino dei paesi poveri.
IO - bè, non è che SCEGLIERE di non mangiare più gli animali porti via chissà quanto tempo, eh. Non è che se stasera invece di ordinare la bistecca al sangue, avessi preso un piatto di spaghetti al pomodoro, per dirne uno, poi questo ti avrebbe impedito domani o nei prossimi giorni di dedicarti ad una sana atttività filantropica, anzi... visto che tiri in ballo i bambini dei paesi poveri che, secondo il tuo discorso, se tu diventassi vegetariana, poverini finirebbero nel dimenticaio, forse non sai che invece è esattamente il contrario, ossia è proprio a causa dell’enorme consumo di carne in occidente e di tutto quello che si rende necessario per allevare i bovini, tanto per citare una specie di quelle più sfruttate, che si verificano altrove situazioni di carestie, impoverimento dei terreni, desertificazione, deforestazione... comunque dai, non voglio farla lunga, però, se ti interessa, ti consiglio un ottimo saggio sulla connessione strettissima che c’è tra consumo di carne e fame nei paesi poveri. E questa, resta comunque, a mio avviso, una questione secondaria;
X - in che senso?
IO - nel senso che la questione per cui non si dovrebbero mangiare gli animali è e dovrebbe essere principalmente ed essenzialmente di tipo etico: gli animali soffrono come noi. E soffrono non solo nel momento in cui vedono in faccia la morte, ma in ogni istante della loro esistenza condotta come fossero degli oggetti anziché esseri viventi. A tale questione poi se ne vanno ad aggiungere tante altre che sono più, diciamo, utilitaristiche.
Comunque quel libro di cui dicevo è un saggio molto significativo e molto molto istruttivo, peraltro scritto in maniera semplicissima, diviso in vari argomenti per capitoli, e racconta in maniera molto dettagliata come in Europa ed in America (i cosiddetti paesi ricchi d’occidente) sia stata fondata la cosiddetta “cultura della carne”; sfatando, peraltro, il mito per cui la carne si sarebbe sempre mangiata perché l’uomo sarebbe nato carnivoro e, per replicare la tua affermazione di prima, spiegando quanto in realtà quella che tu definisci la tua SCELTA, sia in realtà solo il risultato di un condizionamento culturale che va avanti da secoli.
E in realtà, perdonami, la tua non è affatto una scelta, ma assenza di una scelta, o, se vogliamo, al limite, rifiuto di una scelta, in quanto preferisci lasciare le cose come stanno e non mettere in discussione il già noto.
X - sì, sì, questo è vero, ma comunque dai, non discutiamo, ognuno è libero di fare quello che crede, tu hai fatto la tua scelta, io la mia.
(comincio a chiedermi se, sotto l’effetto dell’alcool che inizia a scorrere sempre più copiosamente, ed è notevole che la mia lucidità nel condurre un argomento tutto sommato abbastanza complesso non ne sia per nulla scalfita, ma anzi... avete presente quella giusta dose di vino per cui veramente ci si guadagna un arricchimento nella percezione e le associazioni, le immagini, le idee, i pensieri, le parole si susseguono chiare e nitide? Ecco, quello, quel momento. Appena un attimo prima di quell’altro, di momento, di quello in cui la lingua si impasta dentro la bocca ed il cervello si mette in posizione di stand-by...
Oh, ma prima di quel momento, quello della stand-by intendo, c’è ancora il precedente della lucidità accresciuta al massimo e credetemi se vi dico che ci vorranno almeno altri due bicchieri - ché l’alcool lo reggo benino - per poter arrivare al secondo, e quindi la conversazione prosegue, logica ed ordinata, da parte mia, logica ed ordinata come non mai, mentre, come dicevo, dopo aver sentito la tizia che ripeteva per l’ennesima volta: “sì, ma tu hai fatto la tua scelta, ed io la mia”, comincio a pensare che forse abbia qualche difetto utiditivo, o un deficit di attenzione (la colpa no, non può essere del vino perché lei non beve)... il deficit d’attenzione sì, ci può stare, e del resto, sfido chiunque a sostenere una conversazione con me e a non cadere nel deficit d’attenzione dopo venti minuti)
IO - Vedi, tu credi di aver fatto una SCELTA. In realtà, qui, l’unica che ha fatto una vera scelta sono stata io. E sai perché? Perché a te, quando hai iniziato a mangiare la carne (e il pesce, e tutti i derivati animali) sin da bambina, nessuno a chiesto se volessi fare diversamente. Te lo hanno semplicemente imposto, come a me, come a tutti. E non per cattiveria, ma perché la gente tende a fare ciò che fa altra gente, ciò che reputa “normale” fare, solo perché è la maggioranza che stabilisce la “norma” e quindi cosa è “normale” fare, e se una cosa la fanno tutti, quantomeno la maggioranza delle persone, allora la gente penserà che sia anche giusta. Sbagliando. Perché non sempre “normale” e “legale” significano anche “giusto”. La legalità non sempre equivale alla giustizia, infatti.
Mangiare carne è legale, certo, ed è quello che fa la maggior parte della gente. Questo non significa che sia giusto. E non è giusto perché gli animali dovrebbero nascere, vivere, morire in libertà e non asserviti all’uomo.
X - (mangia in silenzio, incapace di reagire alle mie - in verità già colladautissime, ormai recito a memoria - asserzioni)
IO - un goccio di vino (so benissimo che è astemia, l’aveva già detto prima, ma chissà, magari ha cambiato idea)?
X - no, no, sono astemia. Eh, infatti, capisci, già mi privo di un sacco di cose, non bevo, non fumo, mi ci manca che mi levo pure la carne...
IO - Ma questo lo dici perché tu sei abituata a considerare il mangiare gli animali come fosse chissà quale privilegio, come fosse un’abitudine sana, naturale, un cosa “normale”. In realtà mangiare gli animali, mangiare QUALCUNO, se ci pensi bene, è una cosa mostruosa.
E smettere di mangiarli NON è affatto una privazione, come comunemente si intende, è invece semplicemente una scelta meravigliosa, una scelta di cui ti rendi consapevolmente parte attiva nel risparmiare sofferenza e dolore ad altri esseri viventi. NON è una privazione. E’ un valore aggiunto per te, per la tua vita, e, ovviamente, per quella degli animali.
Ripeto, mangiare animali è solo un condizionamento culturale. Ti piace essere condizionata?
Torno a ripeterti, perché non provi a leggerti qualcosa sull’argomento, poi allora sì, dopo che avrai imparato a vedere le cose in maniera diversa, potrai SCEGLIERE davvero. Ma prima devi vedere cosa c’è dall’altra parte. Vedere da una prospettiva altra.
X - ma io sai, leggo poco, c’ho poco tempo
(di nuovo, ancora il tempo come pretesto. Un giorno, quando sarà in punto di morte, scoprirà di non aver fatto un sacco di cose per mancanza di tempo, quando invece, almeno fino a pochi istanti prima, avrebbe potuto avere tutto il tempo che voleva).
IO - capisco (con espressione eloquente, ma eloquente solo per pochi), non volevo annoiarti, solo evidenziare tutta l’illusorietà della tua “scelta”, di quella che tu chiami SCELTA, mentre in realtà non lo è. E’... piuttosto... un rifiuto di una scelta, un rifiuto di conoscere, di sapere; forse perché mettere in discussione taluni punti fermi (che si credevano fermi) fa un po’ paura; è destabilizzante; vero è, che perdendo determinate abitudini, anche quelle che riteniamo sbagliate, o nocive, abbiamo paura di perdere un po’ anche una parte di noi stessi.
Sai, cambiando argomento, che tanta gente resta probabilmente attaccata alle proprie dipendenze, anche a quelle oggettivamente deleterie, per paura di perdere la propria peculiarità, ciò che crede essere quel quid necessario a conferire quella peculiare distinzione che ci rende tutti, sostanzialmente, unici? Credo sia questo il motivo per cui la gente ha così paura dei cambiamenti e non ama mettersi in discussione, né se stessa, né quelle certezze che vorrebbe acquisite una volta per tutte.
X - sì, sì, questo è vero, ma comunque dai, non discutiamo, ognuno è libero di fare le proprie scelte, tu hai fatto la tua, io la mia.
(sono instancabile. Lo so. Ma sempre, e probabilmente questo vi sfugge, molto molto divertita da queste situazioni. C’era. C’è stato un tempo in cui mi arrabbiavo. Ora, a poco a poco, sto apprendendo il disincanto).
IO - ultima cosa, poi la chiudiamo qui, ché non vorrei far raffreddare il mio delizioso risotto ai funghi porcini (il cui profumo già da qualche minuto mi stava solleticando le narici) : ha senso quindi, parlare di SCELTA? Alla luce del discorso che ti ho appena fatto, tu non pensi piuttosto di aver semplicemente continuato a fare quello che ti è stato insegnato a fare sin dalla nascita (direttamente, o attraverso l’emulazione) senza in realtà riflettere mai sulla possibilità di compiere una vera SCELTA?
Non pensi che la tua consuetudine di mangiare la carne, e solo certi tipi di animali, e non altri, ad esempio, sia solo una consuetudine appresa, come tante altre cose da quando si viene al mondo, ma che poi, crescendo, riflettendoci, potrebbe anche non voler esattamente rispecchiare nel profondo i tuoi valori, quello in cui credi? Scommetto che tu ti definisci una persona non-violenta. Una persona che, se può, evita di fare del male. E allora, come puoi intimamente tollerare questa discordanza tra i tuoi valori e quelle mani, quella bocca sporca del sangue di un’altra creatura?
E perché solo alcune specie e non altre? E perché invece in altre culture vengono ritenute commestibili specie che invece qui da noi consideriamo d’affezione? Questo fatto non ti fa riflettere?
Non credi che allora mangiare gli animali sia soltanto un condizionamento culturale?
Non credi che la tua frase con cui abbiamo dato inizio a questa interessante discussione: “io rispetto la tua scelta, ma tu rispetta la mia”, non abbia proprio alcun senso?
Io posso rispettare TE, in quanto persona, in quanto essere vivente che ha ogni mio diritto di vivere, ma non chiedermi di rispettare la tua scelta, così come non potrei rispettare quella di un pedofilo, o quella di un assassino, o quella di un ladro. Posso rispettare tutte queste persone in quanto persone. Ma non la loro NON-scelta.
Un altro bicchiere di vino rosso e inizio a mangiare. Finalmente.
Lei non cambierà la sua idea. Non stasera almeno. Non per le mie parole. E anche perché sono tanti - e spesso davvero complessi - i motivi per cui la gente continua a mangiare gli animali. E non è vero che tutte queste persone sono dei "mostri" o persone insensibili, o persone cattive; sono solo persone magari inconsapevoli, poco informate, o troppo insicure e fragili per poter anche solo lontanamente pensare che tutte le certezze e le credenze sulle quali si regge la loro esistenza in realtà sono solo fantasmi di certezze, illusioni, errori, e chissà cos'altro. E adesso anche per me è arrivato il momento, quel momento, quello dello stand-by.
E lei, X, forse, più tardi, prima di addormentarsi, rifletterà su cosa significhi davvero compiere una scelta.
P.S.: il libro che ho citato nel corso della conversazione è Ecocidio di Jeremy Rifkin.
17 commenti:
Ciao :)
guarda, io sono vegana da qualche mese, da marzo di quest'anno per la precisione, ho fatto solo una settimana di transizione vegetariana, diciamo così, per non levare subito il latte del mattino (ora ho trovato il latte di riso, che adoro!).
Il tuo post è molto bello, ed è scritto molto bene, è stato un piacere leggerlo.
Tuttavia sono perplessa circa i metodi con cui spesso si tenta di far capire alla gente che mangiar carne è sbagliato, e che tu hai in parte riproposto qui.
Cioè, quello che tu hai detto a quella persona non potrei mai dirlo, personalmente, perchè secondo me mangiare è una cosa molto "de panza", come si dice a Roma, cioè, è una cosa molto passionale, e io capisco chi sceglie di mangiar carne (dopo che ci ha riflettuto ovviamente), perché anch'io per quasi tutta la mia vita non ne ho potuto fare a meno per una questione di gusto, e per molte persone è così. Personalmente, per diventare vegana, ho dovuto sentirmi prima in sintonia con ciò che mangiavo, con tutte le verdure, il seitan, il tofu, i vari tipi di nuovi latte ecc... mi chiedo, se uno non si sente in sintonia, col cuore, con questo tipo di cucina, come fa?
Poi: il discorso che hai fatto a lei sulle scelte è fondamentale.
E vale per tutto (religione, politica, gusti sessuali...).
Con la mia specie ci devo fare i conti prima che con le altre, almeno nell'immediato, nella situazione tipo, che può essere una cena, come nel tuo caso. Voglio dire, io dico qual è la mia opinione sul mangiar carne e derivati di animali, non faccio troppi complimenti, ma mi fermo al primo scambio di idee, se poi uno non vuole capire non capisce, di certo non mi metterò a parlare con un muro. Che poi ci sarebbe anche da chiedersi perchè è un muro.
Quanto peso ha nella nostra vita smetter di mangiare carne?
Per me è stato più facile perchè vivo da sola, e quando ci sono i miei parenti a loro non piace cucinare, per cui si adeguano a ciò che cucino io, e riscuote successo. Conosco però persone per cui è difficilissimo non mangiar carne perchè non cucinano loro (c'è la mamma, come in tutte le famiglie italiote che si rispetti, che cucina).
In sostanza, quello che ti voglio dire è: ovviamente mangiare carne è sbagliato (sennò non sarei vegana!). Però mi domando: come si può in qualche modo imporre una sintonia con dei nuovi gusti, togliendone altri (quello, appunto, della carne), in nome della sofferenza animale, quando le persone vivono in mezzo alla sofferenza umana, e già di quella non gliene importa nulla? Non li voglio giustificare, voglio solo dialogare con un'altra vegetariana che mi sembra aperta al confronto, credo di averne bisogno.
E poi non nascondo che ho subìto un trauma: la prima volta che ho parlato con una vegana, circa un anno fa, mi ha detto che ero una fascista perchè mangiavo carne. Tutto ciò senza che io avessi mai sentito mezza parola sul veganesimo, proprio non avevo idea, questa viene da me e mi fa: "Fascista a tavola, comunista alle manifestazioni", o una roba del genere. Sono rimasta parecchio stupefatta, e ho scoperto che per molti vegan questo è l'unico modo di parlare con gli onnivori e non è un metodo che condivido, sinceramente.
Serena
@ Serena
(prima parte commento; ahimé, devo dividere la mia risposta in più parti)
Ciao Serena,
le questioni che poni sono molto complesse e di certo non potrò darti una risposta che sia universalmente valida, ma solo riportarti quella che è stata la mia esperienza (e in fondo noi tutti ci rapportiamo alla realtà e alle questioni esistenziali a partire da quello che è il nostro peculiare vissuto), e che, indubbiamente, è imprescindibile dalla mia individuale sensibilità.
Quello del gusto è un argomento che affronterei ancora sotto il profilo culturale. Mi domando perché in Australia si trovi gustosa la carne di canguro, in Cina quella di cane e gatto, da noi quella di maiale e vitello, per esempio. Antropologi che sono stati a stretto a contatto con popolazioni in cui si praticava il cannibalismo sono giunti alla conclusione - attraverso i resoconti degli antropofagi - che la carne umana non abbia un sapore diverso da quella di altre specie che solitamente - culturalmente - si ha l’abitudine di mangiare. Eppure a noi il solo pensiero di dover toccare della carne umana ci farebbe orrore, giusto? Lascia perdere il discorso etico del tabù dell’omicidio, parlo proprio di una questione di gusto.
Ti faccio un altro esempio: ad una tavola viene servita della carne; i commensali la mangiano con gusto, trovandola buona. A fine pasto viene detto loro che si trattava di carne di gatto e di topo. Quanto scommetti che tutti i presenti avranno conati di vomito e diranno puah, che schifo? Io ci scommetterei qualsiasi cosa.
Cosa significa questo? Che anche il gusto è un condizionamento culturale.
Siamo purtroppo abituati, sin dall’infanzia, a considerare il maiale, la mucca (a cui poi diamo spesso nomi che ne camuffano l’origine: prosciutto, salame, mortadella, paillard, bistecca ecc.) come un prodotto commestibile, un alimento, un cibo, prima ancora che un animale, un essere vivente.
Come si dice, di solito? “Cosa mangi stasera?”. E invece la domanda corretta dovrebbe essere: “CHI metti stasera nel tuo piatto?” - “CHI uccidi stasera?” - “CHI scegli di far soffrire stasera?”.
Io, prima di diventare vegetariana, amavo moltissimo la carne. I salumi. Il pesce. Ora, semplicemente, non li considero più un alimento, il solo sapore mi rivolterebbe lo stomaco, mi darebbe la nausea, così come mi farebbe orrore mangiare la coscia di un essere umano. La mia prospettiva è cambiata.
E’ il modo in cui consideri quello che hai nel piatto, che te ne condiziona il gusto.
E poi ovviamente ci sono tantissimi stereotipi sull’alimentazione veg che vanno demoliti. Nel senso che gli onnivori credono che noi mangiamo solo verdurine (bollite, poi! Non ho mai capito perché, con fare sprezzante, accostano sempre l’aggettivo “bollito” al sostantivo “verdure”: probabilmente per autoconvincersi che noi mangiamo solo piatti monotoni e privi di gusto), mentre, come tu sai bene, la cucina veg è varia, gustosa, saporita, e ha migliaia di ricette a disposizione (basta consultare qualsiasi sito sull’argomento. A volte penso che non mi basterà tutta una vita per provare tutte le innumerevoli ricette che ci sono).
Oggi poi ci sono tante ditte che producono praticamente in versione veg tutto ciò che comunemente è fatto con la carne: ci sono wurstel, hamburger, cotolotte, salame, arrosti tutto rigorosamente veg. E sono tutti buonissimi, gustosissimi. E le verdure, i legumi, i cerali si possono consumare in miliardi di modi. Non solo bollite :-)
(seconda parte)
Ecco, la maniera migliore per convincere le persone ad abbandonare il consumo di carne, affrontando l’argomento gusto, è quello di far capire loro che non perdono nulla, che non rinunciano al gusto, che avranno comunque una dieta ricca e varia. E, soprattutto, provare a mostrargli la verità di quello che vedono nel piatto. Non la fetta di prosciutto, ma il maiale dolcissimo, con gli occhi dolcissimi e pieni di voglia di vivere e di giocare che viene ucciso in maniera orribile, che urla, che piange di dolore, e poi far vedere tutto quel sangue, quelle viscere, quell’orrore che sono i mattatoi.
Perché il sangue nei film splatter fa orrore, mentre quello che si ha nel piatto no? Perché la cultura in cui siamo immersi ci ha fatto vedere le cose sempre in maniera diversa. Allora, provare a restituire alle persone la prospettiva giusta e corretta (la verità) attraverso cui guardare la fetta di prosciutto che hanno nel piatto, può essere un punto di partenza.
E anche fare un percorso graduale, secondo me, può aiutare. Io quando decisi di smettere di mangiare gli animali iniziai prima ad eliminare la carne rossa, poi il pollame, infine il pesce (ora pian piano sto diventando vegana, mangio sempre meno i formaggi e le uova, il latte già non lo bevo più, prendo il gelato e i budini di soia invece del gelato classico). E mi sono resa conto che già da anni, ancora prima di diventare vegetariana, avevo attuato - senza rendermente conto - una selezione: ad esempio da anni non mangiavo più il coniglio, l’agnello, l’aragosta ed altri crostacei; diciamo che ero specista, cioè alcune specie, tipo l’agnellino, avevo smesso di mangiarle già tantissimi anni fa. Perché comunque mi faceva orrore l’idea di mangiare dei cuccioli.
(terza parte)
Riguardo l’ultima parte del tuo commento (quello sulla vegana che ti ha dato della fascista), ti dico, in tutta sincerità, che ho qualche difficoltà ad esprimermi. So che l’antispecismo viene spesso accostato ad ideologie politiche ben precise, e quindi inserito in un discorso mirato ad una trasformazione globale della società. Anche io sono per una trasformazione globale della società. Credo però che ogni rivoluzione culturale, sociale, globale possa raggiungere dei risultati validi solo passando attraverso l’evoluzione del singolo. La massa dovrà raggiungere pian piano una coscienza critica che la porti a considerare lo sfruttamento animale come una cosa mostruosa. Non si può imporre con la forza un ideale, nemmeno il migliore, altrimenti diventa ideologia, e dalle imposizioni ideologiche alle dittature - come la Storia ci ha insegnato - il passo è breve.
Ti consiglio un romanzo bellissimo, davvero illuminante, che è “Buio a mezzogiorno” di Arthur Koestler. Una sorta di autobiografia romanzata sul regime comunista di Stalin. Racconta di come egli avesse aderito con slancio passionale alla rivoluzione comunista, credendo fortemente nella possibilità di una trasformazione sociale che eliminasse l’oppressione e lo sfruttamento (degli esseri umani, che allora certamente nessuno pensava agli animali, tantomeno gli operai o i contadini, anzi, specialmente questi ultimi, in ogni epoca, hanno sempre considerato gli animali come meri “mezzi di sussistenza”), salvo poi rendersi conto che, al fine di mettere in pratica una teoria ideale per cui sostanzialmente la massa e la società ancora non erano pronte, si era resa necessaria l’imposizione di questi princìpi ideologici con la forza. Quello che poi è accaduto è cosa nota e non serve ribadirlo, anche se lui lo racconta dapprima da interno al partito (quindi dà tutte le giustificazioni che avevano reso necessario il regime di Polizia, la dittatura ecc., poi da perseguitato ed infine da arrestato perché aveva voluto dissociarsene). La domanda che Koestler si fa, è questa. Com’è stato possibile giungere a tanto? Ossia, che per liberare tutti gli oppressi, per realizzare una società migliore, si sia reso necessario usare le armi, la violenza, la sovversione coatta dello stato di cose precedente, il sacrificio di tante vite? Com’è possibile che gli esseri umani, i singoli, ad un certo punto abbiano smesso di venire considerati nella loro individualità e siano divenuti semplici coefficienti di un sistema, del tutto astratto e spersonalizzante?
(quarta parte)
Ora, bada bene, cosa sto dicendo? Di certo non è mia intenzione parlare del comunismo, o del fascismo, o di altro che non sia la questione animale.
Sto dicendo però che qualsiasi IDEALE si abbia, bisogna attendere che la società tutta si evolva e lo consideri universalmente valido. E NON imporlo come un’ideologia. L’antispecismo, l’animalismo, per me sono ideali. La politica non dovrebbe entrarci. Per come sono fatta io, per la mia natura, la mia sensibilità, per la mia concezione del mondo, dell’esistenza, serve una presa di coscienza graduale che non può essere imposta con la forza (altrimenti ci faremmo noi stessi aguzzini nei confronti di chi è diverso da noi. Per questo, scrivevo: chi mangia carne non è un mostro, solo una persona inconsapevole, che non ha preso coscienza di una verità fondamentale, che è la sofferenza degli animali, e anche del fatto che il dolore è unico, esiste una radice unica, che ci accomuna tutti. Esistono varie gradiazioni di dolore, ma la sostanza, la qualità non cambia. Né per gli uomini, né per gli animali).
Dare del fascista ad un onnivoro è semplicemente una cosa ridicola. Il fascismo - nell’estensione del termine, quindi usato in accezione metaforica - significa proprio “imposizione”. Se un vegano pensa di trasmettere l’ideale meraviglioso che è l’antispecismo usando espressioni coercitive, brutali, offensive, diventa, egli stesso, senza rendersene conto, un fascista.
Ogni qualvolta si cerca di imporre un ideale con la forza - per quanto giusto sia - si diventa fascisti. Fuor da ogni significato politico.
(quinta ed ultima parte)
Nella mia personale visione non è contemplato il pensiero di poter racchiudere tutta la complessità dell’esistenza e delle tematiche ad essa sottese in una specifica ideologia. Per questo ho sempre fatto fatica a collocarmi politicamente. Non mi piacciono gli stereotipi della dialettica destra V sinistra. Vedo la società, l’esistenza semplicemente da prospettive altre, più filosofoche, se vogliamo. Utilizzo altri criteri.
Ultima cosa. In passato si dava per scontata la schiavitù dei neri, o l’oppressione delle donne. Poi piano piano nella società, almeno occidentale, è passato il messaggio che gli esseri umani sono tutti uguali, senza distinzione di sesso o di razza (ossia, esistono persone di sesso diverso, o nate in paesi diversi, ma tutti abbiamo, dobbiamo avere, gli stessi diritti. Diversità non vuol dire discrimine. Io sono diversa da te in quanto, che so, bionda, anziché mora, però tutte e due abbiamo gli stessi diritti, no?). Lascia perdere i singoli casi di razzismo dati dall’ignoranza e da turbe di varia natura, però comunque nell’attuale società c’è stata un’evoluzione in questo senso. All’inizio questa evoluzione è partita da pochi singoli, poi sempre di più, poi tutti.
All’inizio quei pochi singoli che sostenevano l’uguaglianza di tutti gli uomini venivano presi per matti, poi ci sono stati dibattiti, e poi la coscienza collettiva si è evoluta. Nei confronti degli animali, per avere l’affermazione antispecista, secondo me, serve un’evoluzione della coscienza di massa. Che deve essere, in primo luogo, culturale. E ci vorranno anni. Noi stiamo seminando qualcosa, probabilmente. Con il nostro esempio, con i nostri discorsi, con le nostre discussioni, manifestazioni, presidi, attivismo ecc..
Non credo nell’uso della violenza per raggiungere un ideale. Non credo nella lotta armata. Posso condividerne gli ideali, ma non la pratica.
Penso che sarebbe bello che sparissero tutti gli allevatori ed i macellai dalla faccia della terra, ma so che sarebbe sbagliato eliminarli. La mia, se vuoi, è la posizione che raggiunge Raskolnikov in Delitto e Castigo dopo aver compreso che la violenza è sempre errore. Ed orrore.
Non si deve imporre nulla. Il fascismo è imposizione. Ho conosciuto persone convinte di essere comuniste, che poi alla fine erano fasciste nell’anima, in quanto intolleranti, chiuse, non aperte al confronto. Questo, per dire quanto le etichette politiche possano essere fuorvianti, specialmente in questioni di natura prima di tutto filosofica, e poi esistenziale, quale dovrebbe essere questa dell’antispecismo.
Mi rendo conto che certi discorsi meriterebbero un approfondimento ulteriore e di essere andata parecchio fuori tema. Ma, purtroppo, quando vedo anteporre all’animalismo una pregiudiziale politica, e/o genericamente ideologica e finanche religiosa (e qui ci sarebbe da aprire un triste capitolo), tralasciando invece l’aspetto, a mio avviso, fondamentale, che dovrebbe essere quello dell’evoluzione del singolo e dell’apertura empatica verso tutti gli esseri viventi accompagnati da un attivismo concreto, quotidiano, per tentare di alleviare le sofferenze degli animali, soccorrerli, aiutarli ecc., mi cascano un po’ le braccia. Sarà un mio difetto (anche se, magra consolazione, so di non essere l’unica a pensarla così).
Un saluto e grazie per avermi offerto questa possibilità di confronto e di discussione.
Allora, ti rispondo schematicamente così non perdo il filo del discorso, cosa che mi capita spessissimo.
- certamente il fatto che mangiamo carne di maiale e non di cane, per esempio, è solo un fattore culturale. Ma i componenti della nostra società sono oggetto di influenze culturali, sociali, politiche, e storiche. Metti che io faccio capire a X che mangiar carne di maiale ha senso solo nella nostra cultura. Che in altre avrebbe potuto mangiare cani, gatti, o topi. Tuttavia il mio discorso passerebbe in secondo piano perchè se mi trovo a parlar con una persona anche intelligente sicuramente mi risponderebbe: "Certo, ma io vivo in questa cultura, in cui c'è la braciolata di ferragosto (per dirne una)". Quindi, se io mangio carne di maiale, trovo conferma nella mia società di riferimento e non mi sentirò mai dalla parte del torto. Il punto è: come si fa a costituire una coscienza critica nei confronti della società che mangia carne? Io, ti ripeto, non sono riuscita finora se non attraverso un metodo propositivo, tipo cucinando per gli altri che quindi capiscono quanto è buono mangiare vegano, e non mostrandogli loro chi c'è nel loro piatto (visione di filmati ecc...). Ho notato che si è diffuso un sentimento cinico duro a morire nei confronti di qualsiasi cosa. Tutto fa ridere, e questo è un altro discorso lunghissimo, ma la derisione delle grandi tragedie sociali, (e parlo di tutto: dallo strupro delle donne anziane, che fa ridere, fino all'uccisione di un animale per essere mangiato: la ridicolizzazione del fatto in sé genera una risata idiota, senza senso, ma che regge in piedi questa cavolo di società!), dicevo, la derisione delle tragedie sociali è un _pilastro_ della nostra società. Secondo me un lavoro gigantesco che andrebbe fatto ovunque (a casa, a scuola, nelle organizzazioni politiche....) è di analizzare e decostruire il cinismo. Perchè se uno inizia a sentire l'empatia, allora metà del lavoro, a mio avviso è fatta. Ma in questa società cinica non è possibile sentire l'empatia.
(seconda parte)
Ti rispondo alla questione ideali/idelogie partendo da me: io ho aderito al marxismo, poi, insieme, sono "cresciuta" col femminismo. Lì ho conosciuto l'antispecismo, il mangiare veg*ano, ecc...
Io non posso scindere l'animalismo dal marxismo e dal femminismo in particolare. Ossia, capisco il tuo ragionamento, e in parte lo condivido, ma se posso lo farei rientrare in una logica marxista.
Mi spiego: lo capisco perchè anche io sostanzialmente nel non mangiar gli animali compio un atto d'amore che è personalissimo, e credo che certi atti di pietà trascendano tutto. Ma, siccome penso che ogni pratica debba trovare una sua collocazione programmatica, (ossia, debba essere inquadrata in una possibile rivoluzione, che è quello cui io, sinceramente, punto a lungo termine consapevole che probabilmente non la vedrò mai, ma che è dietro ogni mia scelta di vita), dicevo, siccome secondo me ogni pratica deve essere inquadrata in un'ottica politico-economica, a mio avviso quella consumistico/capitalista, proposta in tutte le finanziarie da governi di centro destra e centro sinistra, ecco, quella concezione capitalistica è favorevolissima al consumo di carne, perchè come dice Safran Foer nel suo libro "Se niente importa", praticamente le industrie della carne sono quelle che portano avanti l'economia statunitense. Come non vedere un collegamento diretto tra il consumo di carne e l'idelogia borghese?
Io non so il motivo per cui molti compagni mangiano carne. O meglio lo so, lo sospetto: perchè non sembra importare nulla, sembra un fattore secondario. E per un po' mi sono sentita fuori posto, parlando con i compagni, pensavo di essere io ad avere un problema. In realtà ho capito che non solo il problema ce l'hanno loro, ma che come dici tu, c'è un lunghissimo lavoro da fare, e ho tutto il tempo del mondo per parlarci, con le persone. In particolare questo articolo mi ha illuminata: http://www.liberazioni.org/ra/ra/officina004.html
Insomma, quello che sostengo io è, per farla breve: se c'è un ideale che può avere nella sua storia filosofica (al di là di com'è stato poi rivisitato nello stalinismo sovietico) già le basi per l'animalismo, è il marxismo, perchè come dice l'autore dell'articolo, nasce per la difesa dei senza diritti. Per contro, la destra conservatrice, che sostiene le cose per un loro mantenimento, e quindi il continuar a mangiar carne, oppure la destra capitalista, che non vede persone ma numeri, figurati con gli animali!, non mi sembra l'ideale più adatto alla lotta animalista.
Non riesco a non vedere nel consumo di carne un'affermazione del capitalismo, insomma. Per questo secondo me nell'area anticapitalista l'antispecismo ha già il suo posto.
Grazie ovviamente a te per la discussione, erano secoli che sognavo un confronto tranquillo con un veg*ano.
Eccomi di nuovo :-)
Sostenere la tesi del condizionamento culturale può servire a smantellare tutte quelle giustificazioni che solitamente gli onnivori adottano, del tipo: mangiare la carne è “naturale” perché si è sempre fatto così; l’uomo nasce carnivoro; in natura gli animali si mangiano tra loro e quindi anche l’uomo non deve fare eccezione (come se poi vivessimo ancora in uno stato di natura!) ecc.ecc..
Inoltre la giustificazione che tutti lo fanno e quindi è probabilmente giusto così non può essere in alcun modo sostenibile. Una cosa non diventa giusta o corretta solo perché la fanno tutti. Posso capire che il mangiare carne non sia socialmente stigmatizzato (è legale, infatti!), ma questo non significa che sia giusto. Ecco, questo è un discorso che si può portare avanti e che non è difficile da comprendere.
Già ampliare l’empatia negli altri è cosa molto più difficile. L’empatia è un sentimento che si sviluppa a partire dall’infanzia e sono molteplici i fattori che contribuiscono a determinarlo. Traumi, esperienze, eventi, ambiente circostante, famiglia, scuola, emozioni, reazioni ecc. sono tutti fattori che rendono più o meno predisposti all’apertura verso il prossimo. E certamente conta moltissimo l’esempio e l’ambiente in cui si cresce.
Costruire una coscienza critica invece, a mio avviso, è già compito più facile. Come si fa? Smantellando tutto ciò che riteniamo certo ed intoccabile. I dogma esistenziali, per esempio. Mettendo in discussione la realtà che ci circonda, finanche noi stessi. Ma è cosa che richiede una buona dose di consapevolezza e di lucidità.
Guarda che costruirsi una coscienza critica non è più difficile di imparare ad effettuare una critica letteraria o cinematografica. Esistono dei metodi. Che si possono apprendere.
Il “dogma” sociale dello sfruttamento animale (lo chiamo dogma perché appunto la maggior parte delle persone lo dà per scontato) è un qualcosa che si può mettere in discussione? Certamente. Come dimostriamo noi antispecisti. Che so, le norme borghesi su cui poggia la società, si possono mettere in discussione? Certamente. Per borghese io intendo ovviamente non tanto una classe sociale, ma uno stato mentale. Uno stato mentale che contempla unicamente uno stile di vita e rigetta tutti gli altri, ritenendoli “non appropriati”. Quella sorta di “perbenismo giudicante”, se vuoi.
Far comprendere alla gente che la società non è un’entita monolitica e granitica, ma un sistema in divenire che noi contribuiamo a plasmare potrebbe essere un buon punto di partenza.
Non credo che la società attuale sia tanto cinica, quanto indifferente. Distratta. Apatica. Rassegnata.
Appunto perché non c’è, o c’è poca coscienza critica.
Si è presa l’abitudine di dire: “le cose stanno così ed io non ci posso fare niente”. Mentre questo non è assolutamente vero. Bisogna far capire che in realtà la scelta del singolo può avere un peso ed un’influenza enorme. Ecco, il cinismo, se vuoi, è nel pensare che tanto nulla potrà cambiare. L’essere umano oggi si sente parte di un ingranaggio immodificabile e pensa solo a funzionare bene individualmente. Ha perso la coscienza di far parte di un tutto, di un tutto in cui anche le sue scelte contano e producono cambiamenti.
(seconda parte)
Il marxismo, per come io l’ho inquadrato e metabolizzato storicamente, è soltanto l’altra faccia del capitalismo. Nasce infatti proprio come risposta al sistema capitalista, ma senza, sostanzialmente, demolirne gli assi portanti, bensì proponendosi di sovvertirli e basta. Ma è sempre la solita dialettica amico V nemico che propone. Solo che nella logica capitalista l’amico è il padrone, mentre nel marxismo è l’operaio (o il lavoratore in genere).
Sono entrambe teorie materialiste. Entrambe considerano l’essere umano unicamente in una prospettiva economica-materialista. Il marxismo è una teoria economica, non filosofica, o umanistica. Per questo non mi piace.
Non mi sembra che il marxismo abbia mai voluto considerare l’essere umano nella sua complessità ma sempre come coefficiente di un sistema economico.
Inoltre, perdonami (e non ti voglio far cambiare idea sulla tua visione delle cose, ma solo farti vedere le cose da una prospettiva diversa), quando mai il marxismo ha parlato degli animali?
Per “sfruttati” ed “oppressi” Marx intendeva gli operai ed i lavoratori in genere che venivano, appunto, sfruttati dal padrone.
Ovvio che il sistema capitalista in cui siamo NON può essere quello migliore per far progredire la lotta contro lo sfruttamento animale; nel capitalismo quello che conta è il profitto, e certamente gli animali vengono - purtroppo - considerati come fonte di profitto.
Guarda, personalmente sono arrivata alla conclusione che l’unica cosa che può fare l’essere umano - oggi - in cui è ridotto al mero ruolo di consumatore passivo, è ribellarsi ad essere consumatore.
L’unica maniera per far fallire le multinazionali che ci governano è smettere di comprare i loro prodotti.
Serena, tu leggi un po’ l’inglese? Se sì, ti consiglio di dare un’occhiata al blog “mnmlist” di cui trovi il link nella mia lista di blog che seguo.
(terza parte)
Oggi, sostanzialmente, l’essere umano si comporta e reagisce in società tentando di soddisfare ciò che crede siano bisogni, necessità, mentre in realtà sono soltanto desideri indotti (dai media, dalle pubblicità ecc.). Anche la questione del precariato secondo me rientra in questa coercizione invisibile che la società consumistica promuove in quanto l’essere umano, trovandosi obbligato a svolgere lavori saltuari, solo per guadagnare qualcosa, alla fine si sente frustrato. Quando esce da lavoro, cosa fa l’uomo medio frustrato? Cosa pensa? Cazzo, ho lavorato otto ore per uno stipendio da fame, e ora mi merito proprio di comprarmi quel bel telefonino tanto fico. Capisci la logica perversa che c’è dietro? Non è più quella capitalista. E’ consumistica. E poggia su pulsioni ataviche dell’essere umano. Pulsioni ataviche, non leggi economiche. Per me il profeta della società attuale è stato Ballard, altro che Pasolini :-)
Io allora, più che di marxismo, parlerei del sogno di una società davvero nuova, in cui le leggi economiche vengano proprio abolite del tutto, in cui la vecchia dialettica amico/nemico, schiavo/padrone non esista più. E come si fa? Riappropriandoci di noi, esseri umani, in una globalità e complessità che non sia più gestita da desideri indotti, da abitudini e sogni trasmessi al comando.
Guarda, sono discorsi complessissimi che di certo è difficile affrontare così su due piedi. Diciamo che tutto il sistema consumistico della società attuale si basa sostanzialmente sui bisogni e le paure ataviche dell’essere umano. Che sono il sesso e la morte. Tutto, tutto nella società odierna consumistica ruota intorno a questi due assi portanti (se hai tempo, e mi autocito con molta ironia che spero venga compresa, ti consiglio di leggere due miei vecchi post:
http://ildolcedomani.blogspot.com/2011/03/televasione.html
http://ildolcedomani.blogspot.com/2011/03/piccolo-spazio-pubblicita.html
Leggendoli, capirai perché io ritenga ormai superato il discorso del marxismo V capitalismo.
Perché, a mio avviso, le distorsioni della società attuale, sono imputabili ad altre questioni. Ben più complesse e radicali (radicali nel senso che sono le radici delle nostre pulsioni più ataviche).
Insomma, punti di vista. Utili per un confronto. No?
(ultima cosa)
Anche il discorso dello sfruttamento e sterminio degli animali da parte dell'uomo può, a ben guardare, rientrare in questa logica delle pulsioni e paure primordiali che ci governano.
Don DeLillo, in Rumore Bianco, propone una tesi interessante: "non sarà che uccidiamo il prossimo (specialmente i più deboli), per sentirci vivi?"
"Uccidendo gli altri, ci illudiamo di sopravvivere alla nostra stessa morte".
Allora, forse, sentendoci in diritto di dare la morte agli animali, come fossimo degli Dei superiori, pretendiamo di divenire eterni.
Insomma, noterai che io ho una formazione diversissima dalla tua, che non è appunto marxista o politica, ma semplicemente letteraria, filosofica (con cenni di psicologia) :-DDD
Ma proprio per questo trovo utile confrontarci.
Mi fermo qui comunque. Ti ho dato degli spunti. Poi se vorrai approfondirne qualcuno resto a tua disposizione (tempo permettendo, ché in questo periodo sono un po' incasinata).
Buona serata :-)
Ciao Biancaneve
riguardo alle scelte
conosco qualcuno che è vegetariano non per scelta ma perchè costretto dai genitori, vegetariani a loro volta. Questo qualcuno, che ovviamente crescendo non ha sviluppato un sistema in grado di digerire la carne (il pesce però lo mangia...) ogni volta che si va a tavola e qualcuno inforca un qualsiasi pezzo di carne inizia una manfrina interminabile sulla crudeltà dei commensali. Ma non è che lui abbia potuto scegliere... che ne pensi?
Ciao Queen,
guarda, giusto poco tempo fa mi è capitato di discutere con un'amica riguardo una questione molto simile: lei ha deciso di diventare vegetariana, ma ha un bambino di circa quattro anni al quale dà da mangiare ancora la carne, in quanto, a suo dire, è giusto così perché altrimenti poi - non riuscendo a sviluppare un sistema in grado di digerirla (come scrivi anche tu) - sarà "costretto" a non poterla mai più mangiare; dopo averci riflettuto ho dato la mia risposta: mangiare la carne NON è un VALORE, e non poterla mai mangiare NON è una rinuncia.
Per come la vedo io, le ho detto, così come non insegneresti mai a tuo figlio ad uccidere o a far del male ad un altro bambino, non vedo perché dovresti insegnargli a mangiare gli animali. oltrettutto i bambini, ancora privi di condizionamenti culturali, in genere amano gli animali. E non amano mangiare la carne. Poi imparano a farsela piacere. Il gusto si modifica attraverso l'abitudine.
Allora, se proprio volessi lasciare libero un bambino di compiere una scelta lo porterei a visitare un allevamento intensivo, poi un mattatoio. Gli mostrerei l'orrore che viene socialmente rimosso.
Perché gli allevamenti intensivi non possono essere visitati liberamente? E perché i mattatoi sono situati sempre in luoghi lontani dagli sguardi della gente? Perché sono posti pieni di orrore.
Ecco, io risparmierei volentieri ad un bambino questo tipo di "scelta".
Sai, me lo sono domandato tante volte anche io: " se avessi un figlio come mi comporterei?". E partendo dall'assunto che uccidere un animale sia sempre un atto privo di valore alcuno, un atto di crudeltà, di egoismo e di vigliaccheria, sono giunta alla conclusione che no, non gli farei mangiare la carne (e nemmeno il pesce). E non mi sentirei di "privarlo" di chissà quale esperienza importante, anzi, al contrario, sarei certa di trasmettergli un valore, un buon insegnamento.
La violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento del prossimo (uomo o animale che sia) non sono mai dei valori. L'amore, l'empatia, il rispetto per il prossimo invece sì.
l'unica cosa di assolutamente sconvolgente nella tua serata è scoprire che ti chiami rita... ;)
tolta la battuta, che dire...
io mangio carne, per scelta non mia, per abitudine, per qualunquismo, per gusto, per natura, per istinto...? penso sia un mix di tutto e ancora altro.
ne mangio però poca. è un alibi? chissà. ciò non vuol dire che se ne mangio di meno rispetto alla media salverò la fauna e i bimbi dell'africa. probabilmente, però, se tanti altri come me si "stufassero" semplicemente, di mangiare la stessa cosa da anni e anni, provando gusti e sapori nuovi, diversi, più naturali, qualcosa cambierebbe.
solo che, se tra 100 anni l'umanità dovesse essere tutta vegetariana, ci sarà qualcuno che predicherà di cambiare abitudini culinarie perchè la terra non riesce a produrre più pomodori per tutti? ;)
Quando ho visto questo ho pensato subito a te
http://pasticcipatapata.blogspot.com/
se ti piace cucinare ci sono un sacco di spunti e non ho trovato nemmeno un briciolino di carne :D
@ Pierpaolo
Sotto il profilo utilitaristico mangiarne poca è meglio rispetto al mangiarne tanta (così il tuo "consumo" ha un minor impatto ambientale), però sotto il profilo etico (che per me resta l'unico davvero plausibile come motivazione) è sicuramente un alibi, in quanto uccidere un animale piuttosto che dieci o cento non fa differenza, se non quantitativamente.
Secondo innumerevoli fonti e studi l'alimentazione vegetariana è l'unica davvero sostenibile per il pianeta, e lo sarebbe anche tra mille anni se però non ci fossero tutti i danni provocati invece da ben altre questioni, molte delle quali direttamente implicate proprio nell'allevamento.
Comunque, al di là di tutte le questioni cosiddette utilitaristiche per cui non si dovrebbe mangiar carne, per me l'unico aspetto su cui davvero si deve riflettere è quello della sofferenza degli animali e della maniera orribile in cui li sfruttiamo, considerandoli come oggetti e risorse rinnovabili; mentre invece sono esseri viventi, esattamente come noi.
Tutto il resto (tipo porsi la domanda, anche se ironica, su una probabile estinzione dei pomodori, mi sembra oziosa) ;-)
@ queen
Grazie mille per il link delle ricette, sicuramente ne proverò qualcuna :-)
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