Qualche sera fa ho finalmente avuto l'occasione (grazie Paolo!) di vedere questa commedia del 2004 di cui ho sentito tanto parlare.
Il regista è Mike Nichols, l'autore del famosissimo Il laureato; gli attori, un quartetto formidabile: Natalie Portman, Julia Roberts, Jude Law e Clive Owen.
In Closer ci sono due coppie - praticamente interscambiabili - i cui i singoli componenti si troveranno a ricoprire ora un ruolo, ora l'altro, rendendo possibile un affresco quasi completo di tutte le situazioni e gli stereotipi sentimentali della vita di coppia: chi subisce l'abbandono sarà a sua volta colui che tradirà ed abbandonerà, chi mente sarà ingannato, chi dice la verità però non la vuol sentire, chi la pretende non la ottiene, chi è sincero non è creduto, chi non lo è finisce per autoingannarsi, in una sorta di gioco continuo in cui chi la fa l'aspetti.
Ora, così come stanno le cose, sembrebbe la classica commedia del gioco degli equivoci in cui magari non manca il lieto fine. Invece Nichols riesce a farne un vero e proprio trattato sull'amore e sull'idea che di esso si formano le persone finendo per aderire e rincorrere più un preteso ideale, che poi si tenta di concretizzare nella vita di coppia, mentre il tentativo di comprenderne e gestirne le dinamiche effettive in cui si è coinvolti e gli sviluppi relazionali sembra essere secondario o, tutt'al più, vissuto come fosse un gioco, nonostante ci si ferisca, si soffra, si versino lacrime e si sprechino paroloni di grande effetto.
In Closer si ha come l'impressione che tutto debba essere una finzione. Resta da capire se e fino a che punto, e fino a quando, e per chi, sia finzione consapevole o meno. E questo credo sia, in definitiva, il vero tema di Closer. Smascherare chi mente. Capire chi dice la verità.
Due cose mi sono saltate immediatamente agli occhi sin dall'inizio: innanzitutto il montaggio, di cui si evidenziano gli innumerevoli tagli per mettere in rilievo solo i fatti, i dialoghi, le scene davvero salienti della storia dei quattro personaggi: praticamente ad ogni scena si comprende che, rispetto alla precedente, c'è stato un lasso temporale in cui effettivamente la vita è andata avanti, sono accadute delle cose ecc., ma quello che viene raccontato è solo ciò che è effettivamente determinante all'interno delle dinamiche di coppia. Le singole scene sono poi girate quasi tutto in piano-sequenza, in maniera molto teatrale (ed infatti il film è tratto da un'opera teatrale e si vede!) di modo che lo spettatore ha come l'impressione che - nonostante sia stato tenuto all'oscuro della pienezza della storia, con tutti i dettagli del quotidiano, del superfluo ecc. - nel momento in cui i personaggi iniziano ad interagire e a parlare è come se realmente la vita, e solo quella che conta di conoscere, riprendesse a scorrere, ed è come se la storia avesse ogni volta un nuovo, determinante, inizio.
Ecco, la prima metafora che mi viene in mente per Closer è quella del mazzo di carte: è come se i personaggi fossero le singole figure che, dopo ogni "mischiata" di carte, si trovassero accoppiate ora in un modo ora nell'altro. Le intenzioni sembrano quasi irrilevanti. Quello che avviene sembra essere più dettato dal capriccio di un momento piuttosto che da una seria motivazione. E questo probabilmente è anche un effetto voluto proprio dal peculiare montaggio in cui le scene si susseguono in maniera quasi didascalica.
Sotto il profilo del significato - essendo appunto una sorta di trattato sulle dinamiche di coppia - ci sarebbe da dire di tutto e di più, ed ovviamente, a mio avviso, tutto dipende anche dalla sensibilità del singolo, dal suo vissuto, il quale può immedesimarsi ora nell'uno, ora nell'altro personaggio e quindi limitarsi ad una chiave di lettura offerta da una determinata prospettiva.
Personalmente ho trovato molto interessante il discorso critico sul tema della verità. Quando si parla di amore, di vita di coppia, di relazioni ci si trova sempre, immancabilmente, di fronte alla richiesta reciproca di essere sinceri in tutto e per tutto, di dirsi sempre e ad ogni costo la verità.
Ora, la mia esperienza mi ha insegnato che esistono due tipi di persone: quelle che, appunto, la verità ad ogni costo, non importa quanto possa far male; e quelle che: se devi ferirmi inutilmente confessandomi un tradimento che è stato solo la classica "una botta e via" (ero ubriaco/a, mi sentivo solo/a, dovevo togliermi questo sfizio e così via), allora risparmiami questo dolore e non dirmi niente. Le cose però non sono mai così facili perché poi c'è da fare i conti con il senso di colpa, e sempre con questo valore assoluto - quasi dogmatico - che si dà nella vita di coppia, che è la verità.
E ovviamente parlare di verità non è mai così facile perché c'è la mia, c'è quella dell'altro, c'è la tua, c'è quella di quel preciso momento che però nel momento dopo non è più valida e via dicendo.
Allora, cosa ci dice Mike Nichols in Closer? Che, questa tanto decantata verità poi, a conti fatti, nessuno la vuole sentire?
In definitiva l'amore, quello di coppia, cos'è? Un'illusione? Un gioco di prestigio? Un gioco di carte? Un gioco e basta? E quanto e come contano i condizionamenti sociali che sin da bambini lavorano senza posa per farci introiettare una precisa idea del rapporto di coppia nel quale si vorrebbe - si pretende di - incanalare un'infinità di sfumature emozionali e di relazioni che, per loro natura, non possono che essere sfuggenti, mai granitiche, sempre rinnovantesi all'infinito?
E può essere allora che le menzogne che si dicono i personaggi di Closer, più che essere vere intenzionali menzogne provocate con l'intento di ferire l'altro, siano soltanto le menzogne che tutti ci vogliamo raccontare per dar vita ad un'opera - l'ennesima teatrale - che è la vita di coppia, come estensione e concrezione dell’amore, e l'idea che ci siamo fatti di essa?
Può essere che proprio per la sua natura sfuggente, e al di là della sua natura sfuggente, l’unica maniera per parlare di amore sia quello di rivestirlo di menzogne?
I protagonisti di Closer, infantili, caparbi, immaturi, del tutto inconsapevoli di loro stessi e finanche dei loro desideri, sembrano tutti improvvisare una parte di cui non conoscono le battute.
Mi è stato detto che il personaggio assolutamente negativo è Alice (Natalie Portman bellissima e bravissima come sempre, e pure vegana, un altro punto a suo favore, tanto che persino in Closer il suo personaggio ha una battuta in cui afferma di non mangiare gli animali) in quanto menzognera sin dall'inizio e consapevolmente. Io invece trovo che sia l'unico personaggio che abbia una sua verità e che abbia avuto una consapevolezza profonda del suo essere. E' l'unica che mente sin dall'inizio. Vero. Ma mente consapevolmente. Ben sapendo che, comunque vada, l’unica verità possibile è quella della natura imperscrutabile del nostro essere, per sua natura incondivisibile fino in fondo. E allora tanto vale darsi un nome, inventarsi una vita, un ruolo, e farlo sapendo di farlo.
E' l'unica che forse recita veramente una parte, che si inventa un nuovo amore a cui dà corpo prendendo frasi fatte e discorsi da manuale, ma lo fa intenzionalmente, e lo fa perché, in qualche maniera, pur nell'assoluta consapevolezza del gioco, ella ci crede fino in fondo; credendo nella vita come gioco, che è gioco, e specchio caleidoscopico di sempre nuovi stimoli.
Alice non è infatti il suo vero nome. Arriva a Londra in fuga da New York a causa di un fallimento amoroso. Conosce Dan (Jude Law, il classico tipo che a guardarlo sai subito che non dovresti mai fidarti mai di lui, eppure, per chissà quale sotterranee pulsioni masochistiche finisci per restarci impelagata) ed è amore a prima vista. Quest'ultimo poi conosce Anne (Julia Roberts, sempre brava, ma, a mio avviso, sexy quanto una scopa vestita, e non me ne abbiano i maschietti che l'adorano), la quale, proprio grazie ad uno scherzo in rete di Dan (il quale verrà simpaticamente soprannominato Cupido) conosce Larry (Clive Owen, lui sì che è superlativo e anche dannatamente bravo: mitica la scena in cui Anne gli confessa di essere innamorata di Dan e lui pretende di conoscere ogni più piccolo particolare dei loro rapporti sessuali) e lo sposa.
I quattro si lasciano, si tradiscono, se ne vanno, piangono, fanno scene madri, si innamorano, si disinnamorano, si rinnamorano, si riprendono, e tutto sempre come da perfetto manuale ad evidenziarne la finzione giocosa, fino alla scena finale in cui Alice, dopo essere stata costretta a confessare a Dan il suo tradimento con Larry, decide di lasciarlo e tornare a New York. Mentre mostra il suo passaporto alla hostess la telecamera stringe sul suo nome, che non è Alice, ma Jane, come aveva infatti confessato durante uno giocoso strip-tease (per guadagnarsi da vivere faceva la spogliarellista) a Larry, il quale però non l'aveva creduta.
Perché ella non dice il suo vero nome all’inizio del film, quando incontra Dan? Probabilmente perché, delusa da un rapporto amoroso dal quale è fuggita, tenta di reinventarsi una vita a Londra, e, per meglio, ricominciare da capo, per meglio dimenticare la vecchia se stessa, si dà anche una nuova identità. Come se la vita stessa fosse una recita teatrale. Uno scambio di ruoli.
Ma Alice non è falsa, né meschina. E' solo una persona che ha voglia di ricominciare una vita, che ha voglia di mettersi ancora in discussione. Mente nell’apparenza: un nome su una carta d’identità, in fondo, cos’è? Se la rosa non si chiamasse rosa... diceva un grandissimo; così Alice o Jane, cosa importa? L’unica verità possibile qui sembra essere alla fine quella dei sentimenti e delle emozioni vissute dai personaggi.
Cosa ci sta dicendo allora Mike Michols? Che forse nessuno vuole sentire davvero la verità. Che è certamente più facile credere alle menzogne - soprattutto alle proprie e poi dell'altro - in quanto già il solo fatto di pretendere di definire e spiegare e fermare l'amore è già e sempre e solo una menzogna?
Che ogni relazione, per quanto onesta negli intenti, sia votata ad un esito fallimentare proprio nella sua impossibilità ad essere schematizzata e vissuta in un tempo che superi l'immediata sensazione del presente?
Che l'amore a prima vista, è, per sua natura, solo a prima vista e quindi non proiettabile o progettuabile ad oltranza?
E chi invece preferisce illudersi, non sta anche, e soprattutto, egli stesso giocando ad un gioco che è, appunto, quello di "facciamo finta che"?
In sostanza l'unica verità possibile per i personaggi di Closer sembra essere quella del gioco, mentre l'assoluta veridicità profonda dell'essere sembra rimanere preclusa e circoscritta all’interno di pure suggestioni e spinte emotive.
Da guardare per riflettere. E soprattutto da ri-guardare, perché il twisted-ending in cui si scopre il vero nome di Alice, potrebbe (e dico potrebbe, perché ancora non lo so), ribaltare la prospettiva ed offrire una diversa chiave di lettura.
E lo spettatore, come ne esce? Comprende che l'unico momento in cui si è data una verità VERA, è quello in cui Alice ha detto a Larry che il suo vero nome era Jane. Ma un nome può essere appunto reinventato e falsato. Senza che l'essenza della personalità cambi, beninteso. Solo che, proprio come l'amore, quella di tutti, ci resta sfuggente, più che mai.
4 commenti:
Biancaneve, non siamo d'accordo neanche su Closer. ;)
Io l'ho trovato uno dei film più posticci ed inutili del Cinema recente.
E il Nichols de Il laureato sembra davvero invecchiato male.
analisi assolutamente molto interessante di un film ricchissimo ed enorme. i personaggi meno negativi alla fine sono secondo me quelli di natalie e clive owen, che anzi sono gli unici capaci di amare, seppure nel loro particolare e contorto modo. è anche uno dei pochi film che a una seconda visione mi è piaciuto pure più della prima, quindi sì, la ri-visione da consiglio pure io!
Guarda, per come ne avevo sentito parlare nemmeno a me è sembrato quel capolavoro che mi aspettavo; ho trovato però interessante proprio le riflessioni sulle dinamiche di coppia e sugli inganni, le menzogne - in primis quelle che raccontiamo a noi stessi, ma non volutamente, solo per mancanza di consapevolezza su ciò che si desidera e su chi siamo veramente - in cui capita di trovarsi coinvolti.
E poi mi è piaciuto questo dilemma morale della verità ad ogni costo, come fosse un valido pass-partout per la sana riuscita di un rapporto di coppia, mentre a volte può essere ben più deleteria di una menzogna.
E' che, per sentirsi dire una verità dolorosa, bisogna essere pronti, e nella coppia spesso ci si sopravvaluta o si sopravvaluta l'altro.
Ecco, un film che mi è piaciuto anche per l'essenzialità, nel suo essere estremamente didascalico. Con molti difetti.
Comunque dai, non essere d'accordo su Closer non è nulla rispetto all'altra discussione che abbiamo avuto ;-)
@ Marco (Cannibal Kid)
E' vero, anche secondo me i personaggi più autentici sono quelli di Alice e Larry. Magari apparentemente sembrano quelli più macchinosi, quelli più vendicativi ecc., ma in fondo hanno un vero percorso di crescita.
E sì, la ri-visione è apparsa subito anche a me doverosa.
Magari, quando accadrà, ci scriverò la ri-recensione :-D
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