“C’è poi un momento magico, che è quello in cui il cane si sblocca ed inizia a vivere”
E c’è la possibilità che quel momento magico arrivi per ognuno di noi: quello in cui arriveremo finalmente a comprendere il valore assoluto della vita; di ogni vita.
La protagonista di questo coraggioso, toccante e ben diretto film è Aurora, una ragazza che studia Biologia presso l’Università di Trento e che, quasi per caso, entra a far parte di un gruppo di animalisti attivisti che si prodigano per liberare gli animali dai laboratori di vivisezione.
Lo sviluppo narrativo procede appoggiandosi su due distinti ed apparentemente separati piani formali: quello lineare, in cui a poco a poco ci vengono presentati i membri del gruppo (due ragazze e due ragazzi, cui si unirà Aurora) e vengono mostrati stralci delle loro giornate in cui discutono, fanno piani, si organizzano, si allenano (interessante e densa di significato la scena in cui si esercitano in palestra a simulare l’arrampicata in montagna, con valenza senz’altro metaforica di una fatica da compiere che porti al coronamento di un ideale che, seppur lontano, rimane tuttavia come mèta possibile ed auspicabile da raggiungere); e quello onirico, spesso solo un breve intermezzo, in cui i sogni di Aurora - come inquiete presenze - aggiungono un elemento di disturbo, ma anche, arricchendola, di vivacità e colore alla vicenda, il cui unico rischio, a mio avviso, intelligentemente evitato dall'abile mano del regista, poteva essere quello di scivolare nella dimensione monocorde del taglio quasi documentaristico cui solitamente vengono affidate tematiche simili.
E saranno proprio questi brevi momenti onirici a conferire al film non solo compattezza formale, ma anche a restituire, sul finale, tutto il senso e la portata del messaggio che interessava diffondere.
Tra le pieghe di un discorso che sicuramente non ha bisogno di troppe spiegazioni (quello della liberazione di tutti gli animali e della fine del loro asservimento all’uomo) e che è palese ed evidente sin dagli inizi del film, Piercarlo Paderno ad un certo punto introduce un escamotage narrativo per affrontare e mettere in luce uno dei dilemmi da sempre più discussi nel mondo animalista: è più giusto fare un discorso a lungo raggio d’azione, in vista di un miglioramento futuro delle condizioni degli animali e quindi evitare di mettersi ai margini della legalità, di esporsi e di affrontare certi rischi (quali quello di essere considerati terroristi e ladri solo per aver portato via degli esseri viventi dall’inferno dei laboratori della vivisezione), aspettando che la società tutta divenga più sensibile e si evolva, oppure, semplicemente, senza stare a fare tanti discorsi filosofici e a teorizzare in astratto l’utopia di un mondo migliore, intanto attivarsi ed agire nel presente per salvare più vite possibili?
I ragazzi del film ad un certo punto si trovano a compiere un’ardua scelta: sono stati costretti ad abbandonare la loro auto con dentro i conigli che avevano liberato in seguito ad un’azione poiché inseguiti dalla polizia che era sulle loro tracce da tempo (interessante la figura dell’agente Diego Vega - nomen omen? - il quale, pur obbedendo agli ordini del procuratore che ha ricevuto l’incarico di indagare sul “furto” dei topi e di altri animali dai laboratori di vivisezione, sembra avere qualche perplessità sul caso che sta volgendo: “e se avessero ragione loro?”, dice ad un certo punto alla moglie, dopo aver dato da mangiare al proprio cane e, soprattutto, sul proprio ruolo pubblico di agente di polizia; ruolo che viene marginalmente discusso anche da una delle ragazze, la quale spiega ad Aurora che un poliziotto, anche se con una bella luce negli occhi, deve comunque recitare un ruolo, e quindi imparare a comportarsi in maniera spietata); cosa fare quindi? Tornare indietro, come è determinata a fare Aurora, per recuperare i conigli (“sono già fuori. Non possiamo lasciare che ritornino dentro, per essere nuovamente torturati”), avendo però la quasi certezza di trovare la polizia ad aspettarli e quindi di venire tutti arrestati (anche se andasse solo uno di loro, come suggerisce Aurora che si presta volentieri a correre il rischio, in quanto poi verrebbero sicuramente rintracciati tutti gli altri), oppure lasciare quei conigli lì, in attesa di sofferenze indicibili e morte certa (“tanto abbiamo salvato almeno i cani"), accettando il fallimento dell’azione e dedicarsi a progettare altre azioni future?
E la vita, quella di tutti, di un essere umano come del più minuscolo insetto, è un valore che si può quantificare, che è giusto quantificare? O non è, piuttosto, un valore assoluto, inestimabile, unico e prezioso e quindi, come tale, degno di essere salvaguardato ovunque e sempre? Cos’è più giusto fare, lasciare quei conigli al loro destino accettando il fallimento dell’azione, oppure tentare e lottare comunque, ad oltranza, fino alla fine, anteponendo la nobiltà dell’ideale ad ogni considerazione personale? E il vero ideale, qual è? L’utopia di un mondo migliore, sicuramente una mèta vista ancora come lontana rispetto al presente, o piuttosto la concretezza di un’azione immediata, non più procrastinabile, nata dalla spinta profonda del cuore nel superamento di ogni astrazione e di ogni dubbio che può diventare facilmente alibi per non agire ora?
Aurora è un film che ha un significato profondo, che è innanzitutto simbolicamente racchiuso nel nome della protagonista, appunto Aurora, ossia la visione potente dell’alba di un giorno nuovo, di un giorno che vedrà il coronamento del sogno della liberazione di tutti gli animali da tutte le gabbie in cui sono imprigionati; ma è anche il risveglio della coscienza di tutti noi, che siamo imprigionati in ben altre gabbie, quelle dell’egoismo e dell’ottusità mentale, quelle che ci impediscono di scorgere negli occhi di un cane torturato i nostri stessi occhi, quelle ci impediscono di scorgere nella sofferenza di altri esseri viventi la nostra stessa sofferenza, quelle che ci impediscono di comprendere che - seppure appartenenti a specie diverse - abbiamo tutti il medesimo inestimabile valore della vita. Il giorno, quel giorno in cui finalmente sorgerà l’aurora di una nuova ed accresciuta consapevolezza, si apriranno allora le porte dell’empatia e, insieme con esse, anche quelle che tengono imprigionati tutti gli esseri viventi che quotidianamente vengono privati di una vita degna di chiamarsi tale.
“C’è poi un momento magico, che è quello in cui il cane si sblocca ed inizia a vivere”, dice quindi la ragazza che ospita e si occupa di riabilitare tutti gli animali salvati dai laboratori, spiegando alla neofita Aurora, come sia necessario introdurli gradualmente, a piccoli passi, ad una vita finalmente libera, in quanto avendo sempre conosciuto la non-vita asettica del laboratorio, non avendo mai visto la luce del sole, camminato sull’erba, sentito l’odore dell’aria aperta, è come se non fossero mai davvero nati, come se non avessero mai davvero vissuto.
Il finale non lo svelerò. Sperando così di accrescere la vostra curiosità per questo film davvero interessante. Interessante per due motivi: primo, perché rispetto alla media dei film italiani (io non ho una grande stima del cinema italiano attuale), e soprattutto tenendo conto del ridottissimo budget (praticamente “nullo”, come ha specificato il regista, presente alla proiezione), è girato davvero con grande cura e perizia formale. Recitazione molto professionale e ottima colonna sonora; poi, ovviamente, interessante perché in pratica è il primo film che tratta in maniera così diretta ed essenziale il tema della liberazione animale.
Aggiungo inoltre volentieri questa nota "metacinematografica": il film è stato proiettato al Rewild Cruelty-Free Pub di Roma, dove, con un contributo davvero ridotto (che verrà devoluto al progetto DL4 dell'Associazione Vitadacani Onlus ), oltre alla proiezione, tutti i presenti hanno potuto gustare un ottimo buffet, ovviamente vegano, ed hanno avuto la possibilità di trovarsi - e conoscersi - in un ambiente caldo e confortevole (peraltro allietato dalla presenza di qualche simpatico amico a quattro zampe, tra cui la mascotte del locale, la dolcissima Nerina), e dove alla fine abbiamo rotto le scatole... ehmm, volevo dire: rivolto qualche domanda, io ed il mio compagno (il quale, anche se lo dimentica spesso, è un giornalista), a Piercarlo Paderno, il giovane regista di Brescia, il quale, disponibile, gentile e molto alla mano, ha aggiunto delle riflessioni davvero interessanti sulla sua visione e concezione della liberazione animale che mi sento senz’altro di condividere pienamente.
A mio avviso, la liberazione animale non è un’utopia. Scegliendo di non mangiare gli animali, li stiamo già liberando. Scegliendo di non comprare più pellicce, accessori in pelle, lana, seta ed altri derivati animali, li stiamo già liberando. Scegliendo di non comprare cosmetici ed altri prodotti testati su animali, li stiamo già liberando. Informandoci e lottando per una ricerca alternativa, rifiutando la sperimentazione animale, li stiamo già liberando. Rifiutandoci di andare negli zoo, al circo o a vedere “spettacoli” (corride, palii, corse di cavalli ecc.) in cui gli animali vengono maltrattati ed usati, li stiamo già liberando.
Ogni volta che ci adoperiamo per soccorrere un animale in difficoltà, ferito o maltrattato, li stiamo già liberando.
La liberazione animale parte ora, qui, da ogni nostro piccolo gesto. Salvare anche un solo animale è già importantissimo perché ogni singola vita è assoluta e vale quanto migliaia di altre vite. Quanto la mia e la vostra.
Queste e tante altre sono le riflessioni di cui sono debitrice alla visione di Aurora e alla piacevole chiacchierata con Piercarlo Paderno.