mercoledì 25 maggio 2011

Olocausto invisibile (VIII)

Qualche pensiero sulla vivisezione. Argomento tristissimo, lo so.
Il mio compagno mi dice che dovrei scrivere di argomenti meno pesanti, ché poi la gente non mi legge. Io dico che va bene che mi legga anche una sola persona, e che sia quella su cui magari le mie parole possano incidere. E che comunque io voglio scrivere degli argomenti che più mi stanno a cuore, altrimenti, se mirassi ad un blog di successo, metterei una mia foto con le tette di fuori ;-).
Battuta scema. Per alleggerire un po’.
Iniziamo. Proprio ieri mi è capitato di leggere una discussione a proposito della vivisezione, relativa ad un articolo in cui veniva sostanzialmente smentita l’affidabilità della “sperimentazione” sugli animali, in quanto - tra noi e loro - ci sarebbero troppe differenze a livello organico. Troppa diversità a livello di DNA.
Nella discussione sono intervenuti diversi antispecisti che hanno ribadito detto concetto e che hanno fatto luce sulla mostruosità della vivisezione. Come c’era da aspettarsi sono intervenute anche persone a favore invece della vivisezione (che però chiamano “sperimentazione animale”, come se l’adozione di una terminologia più neutra potesse nascondere l’orrore), sostenendo che la ricerca medica è importante, e che è giusto che muoiano degli animali se può servire a salvare delle vite umane (ovviamente per gli specisti la vita umana è superiore a tutte le altre), e che noi contrari siamo solo quattro esaltati animalisti dalla mentalità retriva poiché contro il progresso e la scienza (retrivi noi??? Mah!), e anche - questa è la più bella - che noi animalisti saremmo egoisti perché portiamo avanti solo i nostri interessi (i nostri? Cioè, mica ci stiamo noi dentro le gabbie a soffrire, mi risulta che purtroppo ci siano i nostri fratelli animali, ai quali però vengono - guarda caso - recise le corde vocali affinché i loro lamenti non possano disturbare gli “operatori”, e di certo non sono capaci di condurre da soli una loro battaglia, e proprio per questo, quindi, interveniamo noi animalisti, per parlare al loro posto, per difendere esclusivamente i loro interessi - NON i nostri -  prestandogli quella voce che non hanno).
Vabbè, la solite cose insomma. Non mi stupisco più. Dell’ignoranza e della disinformazione, e della mancanza di empatia. Nemmeno della follia, se è per questo. Esiste. Ne prendo atto.
Poi però ad un certo punto leggo un commento che - tra tutti - spicca per l’adozione di una terminologia tecnica e puntigliosa; l’autrice del commento afferma di essere una biologa, e sostiene quanto segue: “ (...)è assolutamente errato affermare che il DNA dell'uomo e dei modelli animali utilizzati nelle sperimentazioni non siano paragonabili, tant'è che la percentuale di similarità della sequenza nucleotidica del DNA umano e di quella ad esempio del topo è molto elevata. Addirittura alcuni tratti del DNA umano sono riscontrabili nel DNA procariotico (per intenderci i batteri), quindi figuriamoci se non possiamo considerarci simili agli animali (...).”

La cosa che più mi ha fatto incazzare di questo commento è l’espressione “modelli animali”, perché, quel far precedere il termine “modelli”, alla parola “animali” implica un voler ridurre ad elemento astratto chi, a tutti gli effetti, è invece un essere vivente. Implica un voler prendere le distanze in maniera asettica, un rifiuto di considerare l’essere vivente nel suo valore inerente, ma solo per l’uso - “modello” - che se ne può fare. E l’adozione di una simile terminologia è secondo me quanto mai sintomatica dell’incapacità di vedere l’animale come un essere vivente. E questo fatto mi fa orrore. Mi spaventa più di ogni altra cosa. Constatare, giorno dopo giorno, questo atteggiamento culturale che considera l’animale come oggetto mi rattrista sempre più.

Inoltre, la biologa si contraddice. Perché, o si ammette che gli animali hanno davvero un organismo troppo diverso dal nostro (simile ma diverso, e del resto hanno malattie diverse dalle nostre; alcune specie, ad esempio, nemmeno sviluppano il cancro, salvo poi venirgli inoculato artificialmente per fare esperimenti), in tal caso la vivisezione è solo una pratica inutile. Una mostruosità inutile.
O, come afferma la biologa, sono invece tanto simili a noi. Tanto. Ma tanto. E allora, se sono così simili a noi, come accidenti è possibile che continuiamo a trattarli come oggetti privi di un valore intrinseco (ossia, che prescinde dall’utilità che essi possano avere per noi)? Come possiamo trattare (come possono) degli esseri tanto simili a noi come invece fossero oggetti inanimati, incapaci di provare dolore, amore, sofferenza psichica?
In ogni caso, la pratica della vivisezione è una mostruosità.
Poi riflettendo su altri commenti, ho notato che tutte le persone a favore della vivisezione portano avanti la medesima tesi, che sia necessaria ed utile per la ricerca medica, per scoprire nuove cure ecc.. Ora, a parte che ci sono metodi di ricerca alternativi, ossia senza l’uso degli animali, e che sono anche più attendibili perché comunque i test sulla povera bestiola, che vive in uno stato di stress, di dolore, fisico e psicologico, di privazione della libertà ecc. (e non starò a raccontare tutte le mostruosità che vengono fatte agli animali in nome di questa sedicente “scienza” perché il web è pieno di video ben documentati) non può dare che risposte falsate, e poi, mi domando, ma di quale scienza stiamo parlando? E perché in nome della scienza dovrebbe essere permesso tutto?
Ora, io tutto sono tranne che una persona chiusa di mente o dalla mentalità retriva. Mi reputo una donna informata. E aperta di mente. E ritengo l’illuminismo uno dei periodi più belli della storia. Sono a favore delle nuove scoperte, il nuovo, anzi, mi attrae, non mi spaventa. Sono a favore del progresso tecnologico. Non sono insomma una nostalgica dei bei tempi antichi. E però credo che ci siano dei limiti, oltre i quali l’uomo si debba fermare, nel momento in cui superarli significherebbe abdicare alla propria umanità. Perché di questo stiamo parlando.
La vivisezione rende - chi la pratica - pari ad un mostro. Il mito della creatura del Dott. Frankenstein (che tutti chiamano Frankenstein, mentre pochi sanno che quello era il nome del suo creatore, mentre ciò che il Dott. Frankenstein aveva creato si chiamava, semplicemente, la Creatura), vi dice qualcosa?
Non si può andare oltre le leggi della natura. Perchè scavalcarle per perseguire con i mezzi sbagliati un preciso fine, anziché rendere l’umanità più simile ad un Dio, la fa sprofondare nella bestialità più selvaggia (ove, per bestialità, non intendo far riferimento alle bestie, ma ad uno stato di totale mancanza di civiltà e di etica). 
E mi viene da pensare così anche alla hybris nelle tragedie greche del V secolo A.C., a quel peccato smisurato di orgoglio di cui si macchiava l’eroe nel tentativo di sfidare gli Dei. E anche al bellissimo - uno dei più struggenti - canto dell’Inferno di Dante, il XXVI, per l’appunto, in cui la nave di Ulisse scompare tra i flussi “infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso”, perché va bene che “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza”, ma è anche vero che la conoscenza assoluta e totale dell’universo - ammesso e non concesso che sia possibile - giammai potrà significarne dominio assoluto. Soprattutto se - nel tentativo di perseguire il miraggio di un dominio impossibile - scavalchiamo e calpestiamo parte di questo stesso universo (Ulisse aveva lasciato i suoi affetti, la sua casa, la sua donna, il suo fido cane).
E siamo sempre lì, non ci stiamo, non ci sta la nostra misera specie a rassegnarsi all’idea che siamo creature piccole, finite, caduche, destinate a morire. E allora in passato abbiamo pensato di poter sfidare gli Dei (peccando di hybris), poi, di varcare i limiti del mondo conosciuto fidando nella cieca fortuna, infine, oggi, pensiamo che tutto sia lecito - anche condannare altri esseri viventi ad un inferno quotidiano senza remissione alcuna dal dolore, ché questa è la vita per gli animali negli stabulari della vivisezione - nel tentativo di renderci creature più grandi rispetto a quello che siamo.
E giorno dopo giorno, anziché divenire più grandi, perdiamo un po’ della nostra umanità, rendendoci più simili a mostri che agli Dei di cui vorremmo imitare le gesta.
Allora, anziché condannare i nostri fratelli animali a sofferenze indicibili gratuite, dovremmo riflettere di più sulle nostre paure, e cercare di accettare ciò che è: le malattie esisteranno sempre, si continuerà sempre a morire di qualcosa, perché siamo creature destinate a morire. La scienza non è e non può essere l’unica risposta. Specialmente quando, sotto il suo nome, si nasconde in realtà quella che da sempre è la follia più folle di tutte le follie dell’essere umano. Sconfiggere la morte, divenire immortali, fermare la vecchiaia (non sapete quanti esperimenti vengono fatti sugli animali per studiare la vecchiaia, per testare i cosmetici... cosmetici che ci daranno solo l’illusione di essere più giovani, apparentemente, ma che non fermeranno l’avanzare del tempo e non sconfiggeranno la nostra caducità).
E, soprattutto, dovremmo riflettere su quanto un atto di barbarie gratuita - quale la vivisezione - tutto può essere tranne che scienza. Tutto, tranne che progresso ed evoluzione.
E’ solo orrore. E dall’orrore non potrà che generarsi altro orrore.
E no, non è vero che il fine giustifica i mezzi. Non quando questi mezzi sono creature che soffrono.

7 commenti:

L ha detto...

Temo che quando si usi il termine "vivisezione" l'ascoltatore medio visualizzi solo il grigio dei canali criptati.

Troppa paura di attribuire soggettività agli animali. L'inconscio sa che l'ego ne sarebbe schiacciato. E allora tanto vale limitarsi agli affetti familiari, in cui aventualmente si innesta un animale "domestico". Poi chiudere tutto. La guerra è guerra.

Peccato. Temono un pericolo inesistente. Perché accettando la sgradevolezza di poter restare col culo per aria, riconoscendo la pari dignità e qualità del dolore altrui, sarebbero travolti dalla gioia di esserci.

Mi stupiva constatare che tanti onnivori non fossero in grado di vedere filmati come Earthlings. Pensavo di essere io quello sensibile.
Il groviglio di sensi di colpa annebbia la vista. Ma aprire gli occhi non è doloroso, è solo bearsi della luce. Questo bisogna farglielo capire, profittandone per mandare a nanna religioni e feticci, che screditano e sviliscono ciò di universale che intuiamo in noi.

Non è necessario uccidere l'altro per sentirsi vivo. E in fondo, neppure sarebbe sufficiente.

Rita ha detto...

Già. Conosco bene queste dinamiche: schiacciare chi è più debole per ammantarsi di una forza illusoria che in realtà non si possiede, perché rispetto alla grandiosità dell'universo siamo tutti creature fragilissime.
Controllando le vite altrui, manipolandole, sfruttandole, abbiamo l'illusione di poter controllare le nostre.
Vedi, io non è che non riesca a comprendere le motivazioni del modo orribile in cui l'essere umano tratta gli animali; io le comprendo anche. Così come comprendo lo psicopatico che prende il fucile e spara sulla folla. Ma non sono più disposta a giustificare. So che quella parte della società che è più "sana" dovrebbe fare di più per "curare" quella malata.
E invece c'è questa rassegnazione, questo lassismo, questa accettazione delle cose che non fa che promuovere il gioco dei più forti. Invece bisogna ribellarsi. Arriva un punto in cui la voce di chi "vede" come stanno davvero le cose, deve farsi sentire.
Grazie per il tuo bellissimo e significativo commento :-)

fabrizio ha detto...

solo... brava!

Rita ha detto...

Grazie.
Io ci metto il cuore nell'affrontare certi discorsi; spero che anche solo parlarne serva a smuovere qualche coscienza.

ivaneuscar ha detto...

Secondo me c'è un'altra riflessione importante da fare, che si ricollega alle tue giuste osservazioni critiche: dobbiamo cominciare a mettere fortemente in discussione l'idea che "gli esperti" debbano decidere per noi tutti (e questo discorso vale per tanti altri temi, come l'energia nucleare, sostenuta da diversi "esperti militanti nuclearisti"!).
Io diffido degli scienziati che presentano le loro teorie come "verità rivelata", perché la scienza non è affatto questo; la scienza - se è tale - non si proclama onnipotente, e dichiara apertamente i propri limiti. Proprio la storia del sapere è lì a dimostrarci che tante teorie "scientifiche" del passato si sono rivelate poi, col tempo (e gli studi successivi) o inesatte e incomplete, o addirittura sbagliate. E non parliamo degli "svarioni" di scienziati e "tecnici" vari che hanno condotto a incidenti e conseguenze catastrofiche! Avere coscienza dei limiti della scienza non significa necessariamente essere contro il sapere scientifico, il progresso della conoscenza, ecc.: significa invece ridarle la dimensione che le è propria, sottraendola alla sfera deleteria del "mito" e dell'autoesaltazione dei "tecnocrati" (e della "hybris", insomma).
Decisioni che includono la nostra empatia, la nostra capacità di sentire o prevenire la sofferenza altrui - e quindi il nostro "mondo morale", e la nostra responsabilità di esseri umani non solo pensanti ma anche "senzienti" - non riguardano una ristretta cerchia di persone, veri o presunti "esperti", perché sono temi che toccano tutta la collettività. Quindi nessuno può arrogarsi il diritto di dirci: "Siccome l'esperto sono io, voi dovete tacere e seguire solo le mie indicazioni".
(Oltretutto questo è anche un atteggiamento antidemocratico.)
L'esperto può dire la propria, certo, ma l'ultima parola spetta alla nostra coscienza. Sempre.

Rita ha detto...

Non potrei essere più d'accordo!

Inoltre, finché si continuerà a parlare di "verità rivelate" non ci potrà essere nessuna vera evoluzione; solo mettendo in discussione tutto, anche quelli che crediamo essere principi incrollabili, si ha la possibilità di imparare veramente qualcosa.
E poi, parlando sempre di scienza, la validità di una tesi viene data proprio quando regge alla prova della confutazione, e, relativamente alla pratica delle vivisezione o anche della questione del nucleare, di confutazioni che ne inficiano la validità ce ne sono a bizzeffe. Ma questo i sedicenti esperti non lo vogliono sentire, e contano sulla credulonità della gente che solo al sentir pronunciare la parola "esperti" va in sollucchero :-(

Ho dato un'occhiata al tuo profilo e al tuo blog (che mi riservo di leggere con calma nei prossimi giorni): complimenti per i tuoi eccellenti gusti cinematografici, musicali e letterari. Ho visto che tra i tuoi scrittori preferiti hai messo Buzzati, Barbey d'Aurevilly (Le Diaboliche è per me indimenticabile), Pirandello, Strindberg... tutti autori che mi hanno letteralmente formata e a cui sono affezionatissima.
Nel cinema invece hai citato Rohmer (ho notato, in particolare, L'amore il pomeriggio), Truffaut (Le due inglesi l'ho visto proprio poco tempo fa, un capolavoro!), Bunuel, insomma, tutto il meglio che c'è ;-)

E mi ritrovo anche nel tuo profilo, laddove affermi che l'amore per la conoscenza ti accompagna da sempre ecc.ecc.

Beh, grazie per essere venuto a farmi visita e per avermi così dato modo di scoprire un blog interessante.

ivaneuscar ha detto...

Ti ringrazio, ho visto che abbiamo predilezioni culturali molto simili. E mi ritrovo nel tuo modo di argomentare, su questo blog, e nel fatto che - contrariamente alle "regolette" di solito vigenti nel Web - tu usi pubblicare testi di riflessione non "telegrafici", ma articolati e ampi. Penso infatti che - in tempi superficiali come questi - bisogna evitare di ragionare per slogan, e ci si deve al contrario impegnare nello sforzo di interrogarsi "analiticamente" sulle cose.