sabato 9 aprile 2011

Jules e Jim di F. Truffaut


M'hai detto: ti amo.
Ti dissi: aspetta.
Stavo per dirti: eccomi.
Tu m'hai detto: vattene.

Parigi, 1907: Jules è tedesco e cerca compagnia, soprattutto femminile; incontra Jim, francese, che diventa suo amico e gli presenta varie donne.
I due danno vita ad un'intensa ed animata relazione amicale, contraddistinta soprattutto da condivisioni ed interessi di natura artistica ed intellettuale ma anche da attività sportive e mondane di vario tipo.
Jim è scrittore e tiene particolarmente al giudizio dell'amico Jules, il quale lo incoraggia e si presta a tradurre i suoi scritti in tedesco. Confabulano di letteratura, arte, poesia, amore, donne.
Durante una proiezione di reperti archeologici a casa di un amico comune si appassionano al volto femminile di una statua che si trova in un sito sul Mediterraneo, quindi, entusiasti, partono per poterla ammirare dal vivo.
Jules et Jim sono dei veri bohémiens che si godono la bellezza della vita sotto qualsiasi forma essa si presenti loro, che si tratti di una poesia, di uno spettacolo offerto dalla natura o dei tratti di un volto femminile in cui percepiscono l'afflato di un mistero.
Un giorno incontrano Catherine e subito i due amici ne sono irrimediabilmente attratti: nei lineamenti della donna rivedono gli stessi della statua che tanto li aveva entusiasmati.
Jules e Catherine iniziano a frequentarsi, dando avvio ad una relazione amorosa, ma rendono partecipe, seppure nel "ruolo" di amico condiviso, anche Jim: ne nasce un triangolo di genuini sentimenti, un inno alla vita spensierata e al piacere di stare insieme. Dapprima Catherine si sposa con Jules, con il quale ha anche una bambina, poi, dopo vari "tradimenti" ed "uscite" dal matrimonio - in mezzo c’è anche la tragedia della prima guerra mondiale, la quale però anziché raffreddare i sentimenti del “trio”, sotterraneamente ne fa emergere ancor di più il prezioso valore -  inizia una relazione amorosa anche con Jim, con il beneplacito di Jules, il quale, sempre innamorato della donna e timoroso di vederla andar via per sempre, ma anche profondamente legato a Jim, accetta di buon grado la "nuova" situazione: "tutto, pur di non perdere Catherine". Poi seguiranno altri "ribaltamenti" amorosi e un finale drammatico.
Il film di Truffaut uscì nel 1962 e, come forse era prevedibile aspettarsi, si gridò allo scandalo. Nel cinema erano già stati rappresentati dei "triangoli" amorosi, ma mai prima d'ora con una donna e due uomini.
A me, tuttavia, sembra estremamente fuorviante parlare di triangolo (figuriamoci di scandalo, poi!), in quanto il termine triangolo, sebbene costituisca un'apertura rispetto al consuetudinario rapporto di coppia, ribadisce comunque anch’esso una chiusura. Un triangolo è una forma geometrica chiusa, delimitata, formata da tre elementi. Nulla potrebbe essere più lontano, metaforicamente parlando, dalla vicenda di Jules, Jim e Catherine.
Innanzitutto abbiamo la relazione amicale tra Jules e Jim, come detto sopra di natura intellettuale, ed è una relazione fluida e aperta vivificata da uno scambio continuo di opinioni ed impressioni, da un costante dare e ricevere di spontanea e genuina condivisione. Quando incontrano Catherine, lasciano che lei entri a far parte del loro "ménage a deux" senza esserne sconvolti più di tanto, vedendola dapprincipio più come l'incarnazione del loro ideale di bellezza scorto ed individuato nel volto della statua ellenica che come una donna reale; a me pare che essi inizialmente si accostino più alla sublimazione di Catherine che non alla donna in carne ed ossa. Ma Catherine è una donna vera, "non particolarmente bella, né particolarmente intelligente, ma vera" - come giustamente dirà un giorno Jules a Jim - ed è di QUESTA donna, vera, volubile, capricciosa e carnale che di fatto si innamorano entrambi.
Si potrebbe allora tentare di vedere qualcosa in più di un semplice “triangolo amoroso”, essendo la stessa Catherine scissa nelle sue componenti carnali e spirituali e venendo a costituirsi una relazione specifica ed autonoma per ciascuno dei tre personaggi che si interfaccia e reagisce con l’altro. C’è Catherine con Jules, che non è la stessa di quando sta con Jim, e ci sono un Jim e Jules che sono diversi da come, singolarmente, autonomamente, si comportano nel loro rapporto con Catherine; e poi ci sono loro tre visti da fuori, “i matti del villaggio”, una componente “altra”, un occhio esterno che va ad aggiungersi ai frammenti della loro scomposta e prismatica relazione comune.
Tuttavia ognuno sembra ricoprire anche un ruolo ben preciso: Catherine è l’elemento volubile, incostante, è colei che assaggia gli uomini con la stessa bramosia e curiosità con cui vorrebbe assaggiare l'universo: ossia per conoscerlo, sondarlo, sentirlo ed infine appropriarsene.
Jules e Jim sono i due intellettuali, coloro che hanno imparato ad apprezzare la vita attraverso il filtro della rielaborazione e rappresentazione artistica. Parlano per citazioni, scrivono, osservano, ammirano l'arte nelle sue varie manifestazioni e concrezioni ma, potrei dire, non sanno vivere che di riflesso. In Catherine, infatti, dapprincipio - come ho già detto - è la straordinaria somiglianza con la statua che scorgono, ma non lei, non la sua carica di dirompente vitalità.
Catherine è il caos che entra nell’ordine costituito. Anche a livello di dinamiche relazionali: è lei il terzo elemento, l’elemento che disturba, e non l’uomo che, a turno, resta esterno alla “coppia etero” che si forma di volta in volta.
E perché non può funzionare oltre un certo punto? Perché sempre, pur nel tentativo di reinventare l'amore, di "piegare le leggi umane" a qualcosa di inedito e di profondamente "vero", autentico, sentito, si innesta il tentativo, l'ennesimo, fallimentare, di chiudere questo libero e spontaneo fluire di sentimenti - che ha un qualcosa di mistico, riecheggiato nelle diverse, bellissime scene girate all'aperto, a contatto con la natura, con il mare, la sabbia, i prati, sotto la pioggia in città - in un circuito chiuso di coppia - prima l'una, poi l'altra, poi di nuovo la prima, ma sempre innanzitutto Jules e Jim, come giustamente si evince anche dal titolo, con Catherine come fattore di rottura - un circuito che diventa corto circuito, autoreferenziale, soffocato in se stesso, privato di quell'ossigeno necessario a tenere un fuoco acceso.
Ma allora, a ben guardare, Catherine, più che elemento di disturbo, come abbiamo detto, è l'unica che sembra percepire questo pericolo di ogni chiusura imminente e sempre infatti interviene a sconvolgere l'equilibrio appena assestato, sempre è disposta a rimettersi in gioco, a rimettere tutto in gioco, a rischiare tutto pur di mantenere viva la carica relazionale di questo rapporto a tre.
Jules e Jim, incapaci di contenere appieno la carica vitale di questa donna che è esubero di puro esprit de vivre da ogni poro, non possono far altro che accogliere e raccogliersi ad ogni suo richiamo.
Catherine rappresenta simbolicamente la vita, quella che fluisce liberamente e che non vorrebbe conoscere argini; lei è il vero, l'autenticità, la grazia, l'assenza di costruzione e di artificio. Nel tentativo di scalfire il procedere ingessato - pura rappresentazione - di Jules e Jim, porterà il disordine - ma anche la vita vera - e infine la morte.
Il sorriso di Catherine allora, come quello della statua, lungi dal racchiudere in sé un mistero, diventa simbolo delle due pulsioni estreme che governano ogni esistere: Eros e Thanatos.

7 commenti:

Alessia ha detto...

François Truffaut quando scoprì per caso il romanzo di Henri-Pierre Roché "Jules et Jim" disse: «Ho trovato il libro meraviglioso e sono rimasto sconcertato dal carattere scabroso delle situazioni e dalla purezza dell'insieme.»
Truffaut con questo film voleva dimostrare l'impossibilità di qualunque "combinazione amorosa" - come la chiama - al di fuori della coppia; ma allo stesso tempo non vuole dare nessun giudizio morale ai tre o alla sola Catherine. Truffaut sosteneva infatti il cinema morale che comprende senza giudicare... Essendo il film stato realizzato verso l'inizio degli anni Sessanta venne considerato come precursore del femminismo, ma non era minimamente così. «La ragazza di Jules et Jim vuole vivere come un uomo, ma è solo una caratteristica del suo carattere» dice Truffaut e poi nel '75 aggiunge: «Confesso che mi sentirei molto imbarazzato a fare "Jules et Jim" adesso, perché mi darebbero fastidio le relazioni che si potrebbero trovare tra questa storia, in cui la donna regna sovrana, e il femminismo. Ho affrontato "Jules et Jim" con una certa innocenza e ci ho messo forse dieci anni a comprenderne il senso.» In pratica per lui "Jules et Jim" aveva una radice molto profonda nella sua infanzia e nel rapporto molto complesso e difficile che ebbe con l'intera famiglia, ma soprattutto con la madre. Con questo film lui disse che, in qualche modo, voleva perdonarla, farle capire che la capiva...
Infatti come non notare in Jules e in Jim rispettivamente i due lati predominanti del carattere di Antoine Doinel adulto - personaggio estremamente autobiografico - (il bisogno d'affetto da un lato e l'indipendenza e ribellione dall'altro)..

Una delle tante cose fantastiche che ha fatto Truffaut in questo film è stata quella di evitare l'invecchiamento fisico, ma per sottolineare il tempo che passa mise nelle scenografie i quadri più importanti di Picasso. Impressionismo, cubismo, collages...

Vabbè, mi fermo che potrei continuare per altre tre ore. :-D

Rita ha detto...

Eh sì, quante cose interessanti ci sarebbero ancora da dire su questo splendido film... ;-)

E'vero, Jules e Jim, in effetti fanno pensare ad Antoine Doinel adulto, soprattutto anche in quell'avidità che mostrano verso la vita e le esperienze della stessa.

Mi è piaciuta moltissimo anche la parte in cui vanno in guerra e tutti e due temono di potersi uccidere a vicenda e anche il valore diverso che si dà all'amore nei momenti estremi della vita, quando sai che si potrebbe perdere tutto da un momento all'altro, esplicitato attraverso quel bel racconto di quel ragazzo che prima di partire per la guerra aveva incontrato una ragazza e, anche se l'aveva vista per pochissimo, comincia a scriverle e si aggrappa all'idea di questo amore che diventa necessario e sempre più importante.

E' vero che non emerge nessun giudizio morale ed infatti il personaggio di Catherine si comporta esattamente come è nella sua natura comportarsi, semplicemente seguendo le inclinazioni del suo carattere, la sua voglia di conoscere gli uomini per esperire la vita, l'universo.

Comunque ogni volta che rivedo Jules e Jim finisce sempre per colpirmi qualche aspetto che invece nelle visioni precedenti magari non avevo evidenziato; è un film così pieno di vita vera che è impossibile coglierne tutti gli aspetti globalmente in un'unica visione.

Prossimamente mi voglio riguardare anche I quattrocento colpi ;-)

Alessia ha detto...

A me piace molto quel che dice Truffaut riguardo Jules et Jim in un intervista:

«Il romanzo ha uno stile invisibile, fatto di niente, e il film deve essere uguale, anche l'immagine deve essere fatta di niente. George Delerue, per esempio, amava talmente il film che voleva farne una musica ambiziosa. Io gli ho spiegato a lungo che la sua musica doveva avere l'aria di niente e che se avessimo dato l'impressione, anche una sola volta, di essere coscienti della bellezza di un'inquadratura, il film era fritto.»

Ho avuto modo di studiare e approfondire molto Truffaut in un esame di Storia del cinema che ho dato l'anno scorso, vidi alcuni film che non avevo mai visto e ne rividi altri, mi capitò allora e ricapita adesso anche a me di rilevarne degli aspetti che mi erano sfuggiti le volte prima.
I quattrocento colpi è davvero meraviglioso.
Ho amato moltissimo anche "La signora della porta accanto", personaggio a cui Truffaut donò qualche tratto di Catherine e poi "Effetto notte" che, nonostante quel che gliene ebbe a dire Godard, per me resta un film così "pieno".

Alessia ha detto...

*un'intervista

Rita ha detto...

Sì, è vero, la regia di Jules e Jim è perfetta proprio perché dà l'impressione di essere fatta di "niente". Peraltro io impazzisco letteralmente anche per Rohmer, anche lui appartenente alla nouvelle vague, anche lui con uno stile molto naturalistico.
Conosci i suoi film? I miei preferiti sono i cosiddetti "sei racconti morali"(tra cui emergono "La mia notte con Maud", "L'amore il pomeriggio" e "La collezionista") e anche il suo primo lungometraggio che è "Sotto il segno del leone", un vero omaggio a Parigi che ricorda, proprio in questo girovagare per la città e nel farne un set cinematografico "naturale", anche "I quattrocento colpi" (ovviamente la storia è molto diversa, però registicamente i due film si avvicinano molto).

"La signora della porta accanto" piace moltissimo anche a me. "Effetto notte" l'ho visto molti anni fa e dovrei proprio rivederlo.

Anonimo ha detto...

Io l'ho visto, boh, quindici anni fa buoni. Dovrei rivederlo. Ne ho un ricordo piuttosto angosciante, comunque :)

Rita ha detto...

Angosciante? Hmmm... sai cosa, è un film pieno di vita, nel bene e nel male (c'è l'amore ma c'è anche la guerra, la morte, c'è l'amicizia ma anche la paura di perderla), e sotto questo profilo può essere anche angosciante, sì.
Ma dovresti rivederlo, è uno di quei film - come scrivevo sopra - in cui ogni volta si riesce a cogliere un aspetto particolare che magari va a discapito degli altri.